Lei cristiana, lui musulmano. Vivono felici, ma…

Ho 27 anni, sono nata a Milano ma la mia famiglia, quel che ne è rimasto, vive in Calabria. Da cinque mesi sono mamma di Ahmed, un bel maschietto che io e mio marito Alef abbiamo desiderato ed ora avuto.

Le scrivo perché , dopo un periodo di assestamento, la presenza di Ahmed ha cambiato radicalmente la mia relazione con mio marito e con la sua famiglia. Lui è di origini marocchine ma vive qui a Milano da oltre trenta dei suoi trentacinque anni, è musulmano e in Italia ha madre padre due sorelle e un fratello. Io sono sempre stata molto ben accettata da una famiglia altamente integrata: Alef ha studiato in Italia , si è laureato in scienze infermieristiche e lavora regolarmente in ospedale, mentre io ho fatto la facoltà di scienze dell’educazione e insegno in un asilo nido privato. Non ho mai avuto problemi interculturali e il fatto che io sia cristiana non ha mai comportato problemi.

Ora però c’è Ahmed e io vorrei che la sua scelta religiosa fosse la più libera possibile e che la famiglia di Alef (che vive al piano terra della nostra casa bifamiliare) fosse meno presente. In questi mesi la madre di Alef non ha perso occasione per dirmi come vada allevato un bambino, riempirmi di consigli non richiesti e spesso si sostituisce a me anche nelle operazioni più semplici come cambiare un pannolino e mi riprende se non lascio piangere il piccolo anche quando con molta evidenza ha fame e bisogno di me. Sia lei che Alef sostengono che un neonato va educato da subito ad essere forte per cui un po’ di lacrime non gli fanno male. Io in parte sono d’accordo ma quando lo sento piangere il mio seno quasi automaticamente comincia a emettere latte e mi assale l’ansia fino a che non ho fra le braccia mio figlio. Nei primi mesi mi sembrava che mia suocera e mio marito fossero uniti nell’aiutarmi, darmi una mano ma ora ho sempre di più la sensazione che io non sia una mamma adatta ad Ahmed e loro mi sostituiscano. Proprio ieri ho cominciato a capire se Alef avrebbe gradito che battezzassimo Ahmed . Lui non ha risposto, ma con un sorriso ha semplicemente detto che suo figlio era musulmano. La risposta è stata tanto secca che non ho avuto il coraggio di insistere. Non ho contrarietà preconcette ma forse avrei preferito una discussione e una decisione comune. Può darmi qualche consiglio?

Gina – Milano

Cara Gina, i problemi che pone sono molto vari e interessanti. L’integrazione culturale è un tema molto rilevante e, credo, nel prossimo futuro la nostra società sarà destinata sempre più a diventare multietnica e dovrà porsi i problemi che lei vive, con più frequenza. Questo però non ha forse molto a che fare con il suo nuovo ruolo di madre che la invito fin d’ora a esercitare con tutta la decisione di cui è capace.

Anche nelle famiglie in cui non c’è un problema di differenza culturale il fenomeno”suocera”non è certo una novità, soprattutto, come mi pare di capire dal suo racconto, in assenza di una “rivale”da parte di madre:ll’invadenza, la squalifica sono fenomeni frequenti che non solo non vanno sottovalutati ma che, come pare stia accadendo a lei, fanno soffrire e pongono problemi di identità.

La natura ha fortunatamente dotato le madri di tutto ciò di cui hanno bisogno per allevare i propri figli e seppure il “mestiere di genitore” sia sicuramente il più difficile, nessuno può in realtà insegnarlo, semplicemente perché ogni madre ha un suo modo di esserlo e ogni bambino ha bisogni e caratteristiche differenti: non esistono ricette. Di questo credo debba discutere al più presto con suo marito, rinforzare l’alleanza con lui proprio sul piano della genitorialità, mettere in chiaro insieme a lui ruoli e necessità e chiedere a sia sempre lui ad intervenire con sua madre per cercare di arginarla, perché cerchi e trovi un ruolo di suocera, insomma perché stia al suo posto di suocera e non di madre putativa.

D’altra parte anche i suoi studi le danno, in ambito educativo, competenza, forza e sicurezza: li faccia valere e li metta nel piatto della bilancia fra lei e una suocera esperta ma, su questo piano, ben più ignorante di lei. Altro problema è forse più profondo è quello del rapporto fra religioni e culture. Sicuramente il dialogo è la cosa migliore, aperto con serenità, apertura ma determinazione: suo marito fino ad ora, come la sua famiglia, hanno mostrato apertura e tolleranza ma ora “Ahmed è diventato Suo figlio … che annunciato freddamente con molta probabilità contiene, una visione del mondo, una concezione della paternità e un ruolo della religione nella costruzione di questa.

E’ un problema complesso per cui consiglierei, dopo ulteriori tentativi autonomi, la ricerca di un buon mediatore familiare che apra una “Ginevra” in cui stipulare accordi di convivenza civile prendere decisioni condivise a partire dal ruolo di madre e padre e soprattutto nell’interesse terzo di Ahmed che rischia di diventare centro di una guerra di religione insensata e distruttiva per tutti. Non aspetti troppo tempo, perché questo gioca a suo sfavore nel far diventare “ovvio” ciò che scontato non è affatto. I suoi familiari, anche se “rimanenti e lontani” potrebbero essere dei buoni alleati o comunque delle risorse utili in questo momento di crisi.

Antonello Soriga

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(Antonello Soriga, psicologo e psicoterapeuta ad indirizzo sistemico relazionale, svolge attività clinica in regime di libera professione a Cagliari. E’ stato professore a contratto presso la facoltà di Scienze della Formazione di Cagliari e più volte membro della Commissione esami di Stato alla professione di Psicologo. Dal 2009 è Giudice Onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Cagliari. Presiede il Centro di psicologia sistemica di Cagliari ed è responsabile scientifico dell’Associazione Sardegna Bielorussia. Tra le sue opere “L’altalena di Chernobyl”, Armando Editore, e alcune pubblicazioni accademiche).

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