Cagliari, Olbia e Selargius: il lungo cammino verso l’integrazione dei rom

Verso la fine degli anni Ottanta la comunità rom sarda fu scossa da una terribile tragedia: Tiziana, una bimba rom, morì nella sua culla per una broncopolmonite nel campo di via San Paolo, alla periferia di Cagliari. L’episodio fece emergere ancora una volta una situazione drammatica, le condizioni di vita dei nomadi cagliaritani, e si decise per la loro sistemazione in uno spazio nuovo e attrezzato, dotato di luce e acqua, a ridosso della strada statale 554. Qui vissero fino a 500 persone, ma nel 2012 un decreto della magistratura dispose la chiusura del campo per le pessime condizioni abitative.

Da qui la svolta: il Comune di Cagliari negli ultimi anni ha dato una casa a circa 230 persone all’interno di un progetto triennale per inclusione scolastica, interventi sulla salute e sulla legalità. “La fase iniziale di questo lavoro è stata piuttosto critica – ha sottolineato Ferdinando Secchi, assessore ai servizi sociali di Cagliari durante l’incontro finale del progetto internazionale Working Roma a cui ha collaborato anche Anci Sardegna – e in molti hanno vissuto l’abbandono del campo come un lutto: il distacco ha messo in crisi legami familiari e relazioni sociali dentro la comunità. I rom hanno avuto difficoltà ad accettare le nuove regole di vita”. Secondo l’assessore da quel cambiamento arrivarono anche riflessi positivi sul piano della legalità, dell’istruzione, della salute. Non d’accordo è Rubino Suleimanovic, mediatore culturale rom di 24 anni, che non condivide le scelte dell’amministrazione e il mancato coinvolgimento della sua comunità nelle decisioni.

Attualmente il Comune di Cagliari sta avviando nuovi progetti sul Pon Metro per inclusione sociale di rom, sinti e camminanti, percorsi di inserimento lavorativo e formazione. Non secondarie le attività di comunicazione per eliminare pregiudizi e stereotipi.

Working Roma contro la xenofobia: presentato a Cagliari il manifesto per l’integrazione dei rom

A Olbia, invece, i rom vivono ancora in un campo alla periferia della città: sono 35 famiglie con 239 persone, tra cui genti di etnia bosniaca, serbi e montenegrini. Ben 104 sono bambini fino a 10 anni. “Il campo, nato nel 2009, è stato attrezzato con acqua e luce e ci sono piazzole per roulotte e case mobili – ricorda Giuseppina Biosa, assessora ai servizi sociali di Olbia – c’è un medico una volta alla settimana. La metà possiede la cittadinanza italiana e ha una buona conoscenza della lingua, anche se con problemi nello scritto. I bambini vanno a scuola ma purtroppo non sempre vengono supportati a casa con i compiti, e così non raggiungono il livello degli altri compagni. Vivono con la raccolta del ferro, molti lo fanno legalmente ma altri sono abusivi. Il Comune ha messo in piedi diversi progetti di inserimento lavorativo per donne e uomini che hanno risposto positivamente”

Buone le esperienze di inclusione occupazionale anche per i rom del campo di Selargius, ma il problema sta nel loro isolamento, come ha ricordato Cristina Farci, assistente sociale: “112 persone vivono in uno spazio a 15 chilometri dal centro abitato, in un’area che ospitava un inceneritore. I bambini vanno a scuola grazie allo scuolabus comunale ma chi va alle superiori ha difficoltà a spostarsi dato che non ci sono mezzi di trasporto pubblico”.

(nell’immagine un bambino rom in un campo di Cagliari, foto di Anna Marceddu)

Francesca Mulas

Diventa anche tu sostenitore di SardiniaPost.it

Care lettrici e cari lettori,
Sardinia Post è sempre stato un giornale gratuito. E lo sarà anche in futuro. Non smetteremo di raccontare quello che gli altri non dicono e non scrivono. E lo faremo sempre sette giorni su sette, nella maniera più accurata possibile. Oggi più che mai il vostro supporto è prezioso per garantire un giornalismo di qualità, di inchiesta e di denuncia. Un giornalismo libero da censure.

Per ricevere gli aggiornamenti di Sardiniapost nella tua casella di posta inserisci la tua e-mail nel box qui sotto:

Related Posts
Total
0
Share