Interviste ai candidati. 1/ Devias. “L’indipendenza non si proclama: la si costruisce”

Predu Frantziscu Devias, leader del Fronte indipendentista unidu (Fiu), è il più giovane tra i sei candidati governatore: ha 39 anni, è nuorese.

«L’indipendenza non si proclama, ma si costruisce ogni giorno». È questo il primo assioma di Predu Frantziscu Devias, il più giovane tra i sei candidati governatore: 40 anni da compiere il 30 aprile, nuorese doc, una laurea in Filosofia. Devias guida il Fiu, il Fronte indipendentista unidu che il 16 febbraio corre in sei degli otto collegi elettorali: Cagliari, Oristano, Sassari, Gallura, Nuoro e Ogliastra. Il Fiu è formato da una sola lista, il che vuol dire l’obbligo di superare lo sbarramento minimo – al 5 per cento e non al 10 – per provare a piazzare consiglieri nella massima assemblea sarda.

Devias, lei ci tiene a sottolineare che è un indipendentista e non un separatista. La differenza qual è?

«Il separatismo è una forma di protettorato, non si rompono mai del tutto i legami con la nazione dalla quale ci si allontana. L’indipendentismo, invece, trova il suo fondamento nella negazione della dipendenza».

Il Fiu nasce in piena estate, quando comincia a naufragare il tentativo di unire la galassia indipendentista sarda. Lei stesso è un iscritto di A Manca. Chi c’è dentro il Fronte?

«Il Fiu ha raccolto adesioni a titolo individuale, con un comune denominatore: rifiutare qualsiasi rapporto di collaborazione con le forze italiane. Ci sono persone di A Manca, ma anche di iRs, di Sardigna Natzione e indipendentisti che non hanno mai avuto tessere di partito».

Se alle urne dovesse fare il colpaccio e diventare governatore, quale sarebbe il suo primo atto amministrativo?

«Rivedere una lunga serie di contratti capestro siglati dalla Regione con le multinazionali italiane e straniere. Ci risultano parecchi dubbi e punti oscuri».

Per esempio?

«È sotto gli occhi di tutti la proliferazione spropositata e scandalosa dei centri commerciali. Negli anni è stata autorizzata l’apertura di decine di strutture che stanno distruggendo il commercio della nostra Isola».

Se venissero chiuse, centinaia di lavoratori sardi perderebbero il posto.

«Noi infatti non vogliamo chiudere i centri commerciali, ma regolamentare le autorizzazioni. Non si possono dare ancora licenze. Tra i contratti capestro da rivedere vanno inclusi gli accordi con le multinazionali dell’energia: dall’eolico al fotovoltaico, passando per termodinamico e biomasse. Parliamo di strutture su cui è difficile fare un censimento, se non si sta dentro il Palazzo. Ci sono impianti che dovrebbero nascere, ma di cui nessuno ne sa niente. Il rischio di infiltrazioni mafiose è dietro l’angolo. Un’altra priorità è l’istituzione di un’Agenzia sarda delle entrate: i nostri soldi devono restare qua».

Come si arriva all’indipendenza?

«È un percorso. L’indipendenza non si proclama per decreto, né con la farsa del referendum di cui si parla in questi giorni».

Si riferisce al referendum consultivo proposto dal Psd’Az e che sta dividendo il centrodestra?

«È solo bassa demagogia. I sardisti stanno millantando il nulla. I Fratelli d’Italia, partito alleato dei Quattro Mori, ha già fatto sapere che di indipendentismo non se ne parlerà nemmeno nel centrodestra. Figuriamoci cosa mai potranno raggiungere, se non condividono nemmeno l’obiettivo. Quelli stanno insieme solo per la loro poltrona, non per fare gli interessi dei sardi».

Il Fiu, invece, ha una strada tracciata per arrivare all’indipendenza?

«Certo, è il nostro programma elettorale. L’indipendenza, come dicevo prima, non è una proclamazione fittizia, ma la costruzione di uno sviluppo indipendente. Serve un’economia autonoma, intanto. Per accompagnare il processo vanno realizzate tutta una serie di riforme».

Tempi?

«Non sono brevi. Ma è importante avviare il percorso una volta per tutte».

In una legislatura cosa si può fare?

«Si possono gettare le basi, appunto. La nuova programmazione andrà impostata chiudendo le porte a quanti vengono in Sardegna solo per saccheggiare le nostre risorse, grazie alla complicità degli amministratori locali. Le porte, al contrario, bisognerà aprirle alle nostre imprese che non hanno interesse ad andare via. Per loro andrà riformato l’accesso al credito. Ancora oggi operano nell’Isola aziende che hanno la sede legale altrove, cioè non pagano le tasse in Sardegna. E mai a nessuna è stato chiesto un piano industriale di lungo termine. Ma tutte, specie quelle che sono scappate lasciando solo disoccupazione e inquinamento, hanno ottenuto montagne di finanziamenti pubblici. Il nostro è un indipendentismo programmatico, frutto di un processo produttivo virtuoso. Il Psd’Az, invece, lancia proclami: vuole fare credere ai sardi che l’indipendenza si raggiunge dall’oggi al domani. E poi diventiamo il paradiso. No, non funziona così. Questa è solo una maniera di prendere in giro il prossimo».

Quale industria vuole il Fiu?

«Quella che segue le vocazioni dei territori. L’industrializzazione degli anni Sessanta è fallita perché trovava il suo fondamento nella distruzione della cultura e dell’economia agro-pastorale, ritenuta la culla del banditismo. Agricoltura e pastorizia sono al contrario la materia prima dell’industria alimentare, da legare a sua volta al turismo. Seguire le vocazioni dei territori vuol dire anche fare industria con sughero, marmo e granito».

Da almeno trent’anni uno dei mantra sardi è la destagionalizzazione.

«Fino a quando l’offerta turistica coinciderà col mare, non si faranno passi avanti. Noi vogliamo istituire la tassa di soggiorno estiva per sostenere le cooperative giovanili, cui affidare la gestione dei siti archeologici. Solo in Sardegna ci sono nuraghi e tombe dei giganti. Ma difficilmente si trova una guida turistica tutto l’anno, e che sappia parlare le lingue. Solo così si può destagionalizzare.

Ai sardi la tassa di soggiorno non piace.

«Perché siamo un popolo colonizzato. Abbiamo paura di dire che bisogna pagare per venire nella nostra Isola. Preferiamo pensare che i turisti abbiano il diritto di fare solo i propri comodi, e noi siamo i fedeli servi da accarezzare. La tassa di soggiorno è un’opportunità economica che permette di migliorare i servizi».

I trasporti?

«Del fallimento della Flotta sarda ci resta una sanzione da 10 milioni. L’Europa non impedisce a una pubblica amministrazione di acquistare navi e aerei. L’Ue vieta che vengano utilizzati soldi pubblici quando alterano la libera concorrenza. Se la Sardegna recuperasse i 10 miliardi di credito che ha con l’Italia, saremmo tutti armatori, altroché. Invece andiamo ai tavoli di concertazione a elemosinare i nostri diritti. Costruire l’indipendenza vuol dire anche imporre le nostre condizioni agli interlocutori. Ma non succede, perché da Roma le segreterie dei partiti italiani non lo permettono».

Alessandra Carta

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