Il “Canyon dell’Asinara” mette a rischio l’elettrodotto sottomarino

Non solo pioggia, frane, incendi. Dal cielo o dalla terra, il pericolo per la Sardegna e le sue coste si sposta sul mare. Anzi, nei suoi fondali. Il pericolo è anche sottomarino. A rivelarlo è uno studio che parla dei canyon sommersi, uno dei più rilevanti dei quali si trova al largo dell’isola dell’Asinara: tunnel sottomarini che, innescati da correnti improvvise, si sviluppano e procedono a ridosso della terraferma mettendo a rischio la sicurezza di porti, strade e ferrovie. Il rischio principale è legato al progredire dei canyon verso la linea costiera.
“La testata di alcuni canyon, proprio a ridosso delle coste, mette a rischio infrastrutture come porti, strade, ferrovie – ha spiegato a Repubblica Silvia Ceramicola, geologa marina dell’Istituto nazionale di Oceanografia e Geofisica sperimentale – A Cirò Marina, in Calabria, un canyon sta progredendo rapidamente verso il porto. Qui dovremmo compiere misure frequenti per evitare danni importanti alle infrastrutture”. Ma se il canyon decide di procedere ci sarà poco da fare: “A un certo punto potremmo dover spostare il porto intero”, confida l’esperta.
“Fenomeni difficili da prevedere”
Anche la Sardegna è monitorata dagli oceanografi italiani per la presenza del canyon dell’Asinara (Canyon di Castelsardo), uno dei più importanti del Mediterraneo, alla stregua di quelli presenti nello Stretto di Messina e nei pressi di Ischia (Canyon di Cuma). Uno noto è quello di Gioa Tauro che nel 1977 diede origine a un’imponente frana sottomarina. Durante le tempeste si innescano forti correnti sottomarine, una sorta di inondazione sommersa, e i canyon “mangiano” i fondali progredendo con un ritmo anche di un metro al giorno verso la costa, per poi assopirsi anche per un anno intero. “Sono eventi catastrofici”, sottolinea la Ceramicola. Insomma, ci troviamo davanti a fenomeni che possono anche assumere connotazioni simili a terremoti o tsunami, anche se non della stessa intensità: comunque si tratta di fenomeni difficili se non impossibili da prevedere.
Pericolo attuale per l’elettrodotto Sapei
“I canyon possono diventare un pericolo anche per i cavi o le opere sottomarine”. L’allarme dei geologi colpisce direttamente proprio le coste del nord Sardegna, nei cui fondali si trova il cavo elettrico sottomarino più lungo del Mediterraneo, l’elettrodotto Sapei, che è anche il più profondo al mondo, dal momento che si adagia su un fondale che arriva a 1640 metri di profondità, da Fiume Santo fino a Latina.
Il Sapei, inaugurato nel 2011 per collegare la Sardegna alla Penisola, è stato messo in sicurezza diverse volte dalla sua prima posa, in modo significativo anche meno di due anni fa, quando Terna posizionò una barriera di manufatti in cemento armato a protezione del cavo, nel tratto compreso fra Fiume Santo e Punta Tramontana. L’intervento che si era reso necessario in seguito alla scoperta, fatta nel corso dei normali controlli sul cavo, del “danneggiamento di alcune staffe di ancoraggio, il deterioramento della fasciatura esterna del cavo, la rotture dei fili di armatura e tali deterioramenti, con possibili ripercussioni su tutto il sistema elettrico nazionale, sarebbero da attribuire alla pesca a strascico”, tecnica di prelievo della fauna ittica peraltro vietata nell’area attraversata dal cavidotto.
Zone non interrate, costante monitoraggio
Le condizioni dei canyon sottomarini vengono costantemente monitorate. La loro diffusione lungo le coste italiane è nota soprattutto grazie a uno studio recente (“Progetto Magic)” promosso dal Cnr, diverse università, dall’Ogs e sostenuto anche dalla Protezione Civile per studiare i rischi legati alla geologia marina (frane, eruzioni sottomarine e maremoti). “Sappiamo ancora troppo poco sulla dinamica dei canyon e come questa impatterà sulle coste – ha spiega ancora la Ceramicola – queste incisioni possono essere un pericolo per molte infrastrutture marine ed è quindi importante monitorarle”.
Come aveva ricordato “Terna” nella relazione inviata al ministero delle Infrastrutture, dove esistono le praterie di poseidonia il cavo Sapei non è stato interrato, ma fissato su speciali sostegni che consentono di preservare il delicato ecosistema marino. Per questa ragione il Comitato interministeriale per la programmazione economica, sentito il parere del ministero all’Ambiente, aveva bocciato la prima soluzione proposta da Terna e cioè l’interramento. Una soluzione che avrebbe dovuto mettere in sicurezza, una volta per tutte, il cavo da mille megawatt.

Giandomenico Mele

 

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