Alla Unipol Domus il tributo a Gigi Riva e la sconfitta amara col Torino

Nella serata della cerimonia laica e sportiva del saluto alla leggenda del calcio italiano e totem della Sardegna intera, sarebbe stato bello se le undici magliette bianche con il  numero  11 sul cuore e lo scudetto rossoblù sul petto avessero onorato sul campo con una vittoria il padrone insostituibile di quel numero, che neppure trenta ore prima aveva lasciato lo stadio per il suo ultimo viaggio in città, accompagnato da un diluvio di lacrime e singhiozzi.

Diciamo la verità, tutti avevamo sperato che San GigiRiva (rigorosamente tutto attaccato) facesse il suo primo miracolo da lassù. Non lo ha fatto e crediamo di sapere perchè: evitare che poi si  parlasse  di una sua  intercessione celeste e diventasse  così, suo malgrado,   il protagonista  della vittoria. Riservato e umile come sempre. Quindi niente miracolo e il Cagliari adesso perde anche alla Unipol Domus, quello che era diventato il suo fortino e gli aveva permesso di fare quei punti che ancora lo stanno tenendo nel vivo della classifica. I rossoblù  di Claudio Ranieri hanno dato con il Torino  una nuova prova di debolezza, consentendo ai granata di portarsi via l’intera posta con un 2-1 che sarebbe potuto essere ancor più consistente se il portiere Scuffet non fosse stato autore  di interventi incredibili.

Era iniziata con gli auspici positivi per un successo. Lo stadio al competo, le canzoni più care al Mito diffuse dalle casse acustiche, l’ingresso in campo dei giocatori in una coreografia di lutto e di ricordi, le note de Il Silenzio durante il minuto di raccoglimento. Un silenzio assordante fra i sedicimila sugli spalti, tutti in piedi davanti alle immagini di Gigi che scorrevano sullo schermo gigante. Da rimarcare il black out totale  da parte della curva Nord, come sempre il cuore del tifo. Tutti in silenzio, prima della partita, niente cori di incitamento e sciarpata rossoblù rinviata di poco. Poi, all’11esimo minuto, il numero più caro, ecco scoperti i due grandi striscioni: “… OGGI INVECE SO CHE ERA UN DESTINO: SO CHE STAVO ANDANDO A CASA MIA”.

Grande la Nord, grandi gli Sconvolts, i tifosi più autentici e partecipi alle sorti della squadra, spesso i soli a farsi sentire in uno stadio salottiero e gelido. È stata una partita dai due volti. Il primo tempo  di grande sofferenza, affrontato con un  comprensibile stato emotivo che ha appesantito gambe e testa dei rossoblù già  prima di scendere in campo. Un ambiente quasi surreale, dove la tristezza e la malinconia si tagliavano a fette. Le aspettative di tutti, c’è niente da nascondere, erano quelle: una vittoria da dedicare al più grande di sempre che  ha lasciato orfani inconsolabili i tifosi, una città e un’intera Regione. Il desiderio  e la speranza non si sono realizzati, sarà bene tornare con i piedi per terra cercare di risolvere per via terrena i problemi che affliggono questo Cagliari.

Una squadra che ha tanto cuore e poco più. Contro i granata, mister Ranieri si è dovuto ancora una volta arrampicare sugli specchi per schierare una formazione competitiva, cosa tutt’altro che facile visto il materiale umano a disposizione. E’ partito con un 3-5-2 a specchio degli avversari, ricorrendo però  a un terzetto di difensori che già in altre occasioni aveva fallito di brutto.  Sulla linea di centrocampo le cose non sono andate meglio, con uno schieramento ancora una volta inedito che prevedeva gli esterni Zappa e Azzi a supporto di Sulemana, Makoumbou e  Jankto, con il moto perpetuo Nandez a sostenere Petagna nel portare la croce dell’attacco.  Il risultato è stato che il Torino ha spadroneggiato in campo, mettendo sotto un Caglari remissivo, debole, sconclusionato. Lo 0 a 2 è stato anche troppo magnanime per la squadra sarda, ma solo grazie a Scuffet.  

Meglio sicuramente il secondo tempo, con l’ingresso di Viola e Pavoletti, il ritorno al 4-3-1-2 e una condizione mentale più libera. I rossoblù hanno finalmente cominciato a giocare come sanno fare, poca tecnica ma tanto agonismo. Hanno dimezzato le distanze e il Torino è stato stretto d’assedio. Ranieri ha gettato nella mischia anche Lapadula, non ancora recuperato de tutto fisicamente, e poco c’è mancato che nella fase finale ci scappasse un nuovo miracolo. Stavolta non è accaduto, ma quello del secondo tempo è il Cagliari che tutti vorrebbero sempre vedere: coraggioso, propositivo, arrembante.

Lo ha rimarcato anche Ranieri nei commenti dopo partita: “Continuiamo a prendere gol banali e il primo tempo lo regaliamo agli avversari. Ne abbiamo parlato più volte fra di noi, ma la cosa si ripete. Non riesco proprio a capire”. Lui, allenatore e signore, non lo dice, ma ipotizziamo facilmente quel che pensa: “Questi sono i giocatori che ho e questi devo utilizzare”. Dal calcio mercato che termina mercoledì  non si attende niente, ma ci spera. “Andremo avanti con questa squadra – ha rimarcato con un evidente tono di delusione -, faremo di necessità virtù”. E’ in ballo e non si tira indietro, ma quando ha accettato di tornare a Cagliari, le premesse non erano certamente queste. Ma chi glielo ha fatto fare, se non l’amore e la riconoscenza per il  suo Cagliari?

Luciano Onnis      

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