Gigi non c’è più, Gigi se ne è andato e ci ha lasciati soli: orfani di un mito, di una leggenda, di un campione, ma soprattutto di un uomo vero, di un sardo più sardo di tutti noi. Gigirrriva è morto alle 19,10 di un 22 gennaio che non potrà essere dimenticato. In quel momento siamo piombati nel buio, una luce, la luce più fulgida della Sardegna da almeno 60 anni, si è spenta per sempre. Ma rimarrà viva e splendente nel cuore di tutti noi, tifosi e non. Difficile per chi – come me in questo caso – , onorato da Sardinia Post di ricordarlo, mettersi davanti alla tastiera del computer e scrivere di lui.
Vorresti dire milioni di cose, dire cosa stai provando, asciugare una lacrima che ogni tanto ti riga il viso. Devi e vuoi farlo anche se sai che non puoi evitare di cadere nelle banalità di circostanza. Devi solo pigiare su questi maledetti tasti per raccontare del Mito, della sua vita gloriosa, del suo essere un campione diverso da ogni altro.
Devi ricordare la sua profonda sardità, del suo essere il nostro Giggirriva Rombo di tuono. Ho avuto la fortuna di seguire le sue gesta con la maglia che è poi diventata la sua pelle (quella rossoblù, ma anche quella della Nazionale) fin da quando è arrivato a Cagliari nel 1963 da calciatore in erba. Mi onoro – accompagnato prima da mio fratello maggiore e poi, da sedicenne, da solo o con amici – di aver visto quasi tutte le sue cavalcate dalla curva Est del vecchio Amsicora, fino a quella trionfale dello scudetto. Poi ancora al Sant’Elia e nelle sue imprese con la Nazionale, di cui rimane il goleador principe, il più grande di sempre. È rimasto tale anche quando ha smesso di giocare, ha continuato a essere il Mito, la leggenda del Cagliari, della Sardegna, dell’Italia.
E’ rimasto sempre vicino alla squadra rossoblù in ogni momento, quelli belli e brutti, diventandone presidente e simbolo indelebile. Tutt’ora era presidente onorario, pur non andando più lo stadio per motivi di salute, ed è sempre stato presente in tutto quello che succedeva attorno al suo Cagliari. Un monumento vivente che non ha mai rifiutato un’intervista a chiunque gliela chiedesse, dicendo sempre le cose giuste sul calcio di oggi, sulla sua storia calcistica di emigrato in quella che è subito diventata la sua isola felice, sul suo essere uomo vero e sardo autentico.
L’onestà personificata. Un esempio per tutti, impossibile da non portare nel cuore. Non voglio ripetere quali sono le sue vittorie, i suoi gol, i suoi e nostri successi. Sono momenti che fanno giá parte della storia. Sapevamo tutti che stava male, nessuno però avrebbe voluto che arrivasse questo momento. Non posso non raccontare che quasi ogni giorno – compresa la mattina del giorno della su scomparsa – sono passato sotto le finestre del suo appartamento fra via Sonnino e piazza Garibaldi, e sempre ho guardato verso l’alto sapendo che dietro quelle persiane e quelle tende c’era il mio Mito.
E ho sempre sperato di rivederlo di persona, come tantissime volte è successo in passato, in campo e fuori. In via Tola, via Paoli e via Dante, faceva la passeggiata come un cittadino qualunque, uno di noi, senza mai rifiutare un ciao e anche un caffè nel bar all’angolo, che non permetteva gli venisse offerto. Pretendeva di pagare lui. Adesso che lui non c’è più, continuerò a passare sotto casa sua e guardare verso l’alto. Lo farò finché ne avrò la possibilità, certo fin da ora che spesso mi scenderà qualche lacrima.
Come quelle che accompagnano adesso questo mio modesto ricordo del mio idolo, del mio campione di sport e di vita. Ciao Mito, segna ancora per me e per tutti noi che ti abbiamo adorato e continueremo a farlo sempre.
Luciano Onnis