Ragazzi di Orgosolo

A scatenare la rabbia è stata la notizia in prima pagina della baby gang che rapina i turisti: la “baby gang di Orgosolo”.”Un atto di teppismo che potrebbe verificarsi in qualunque parte d’Italia e della Sardegna – dice Anna Maria, 23 anni, ragazza di Orgosolo e studentessa della facoltà di Lingue e comunicazione dell’università di Cagliari – se succede nel nostro paese diventa il primo titolo. E’ inaccettabile”.

Il primo nucleo degli “indignati orgolesi” è nato poco dopo quell’articolo in prima pagina e ad Anna Maria è bastato andare sulla Rete per rendersi conto che non era sola. Col passare delle ore gli scambi di mail tra i ragazzi di Orgosolo sono cresciuti in modo esponenziale. Da lì a diventare gruppo e ad aprire un profilo pubblico su Facebook – “Orgolesos” – il passo è stato breve.

“Prima – racconta Enrico 21 anni, studente di archeologia a Cagliari, l’autore dell’idea – abbiamo creato un gruppo ‘riservato’, con pochi invitati a partecipare alla discussione. Poco dopo abbiamo pensato di scrivere la lettera…”

La “Lettera dei giovani di Orgosolo” ha fatto il giro dei social network, ed è stata pubblicata da tutte le testate isolane. I 138 ragazzi e ragazze che l’hanno scritta e firmata sono riusciti a far arrivare la loro voce in tutta la Sardegna e anche oltre. Tantissimi i commenti e le condivisioni di emigrati e di ‘continentali’ che si sono appassionati al tema del disagio dell’essere marchiati a fuoco dai media per avere l’unica “colpa” d’essere nati in un certo paese.

“La lettera – continua Enrico – è stata scritta a più mani, discussa e modificata tantissime volte prima di pubblicarla”. “La rete – aggiunge Anna Maria- è stato solo lo strumento che ci ha consentito di ritrovarci. La nostra idea è uscire come persone reali e riunirci per affrontare i problemi e capire come possiamo impegnarci affinché le cose cambino. Penso che ci sia molta gente che ha voglia di muoversi. Anche se quando in passato abbiamo provato a fare qualche iniziativa siamo stati liquidati come ‘i ragazzi alternativi’. Purtroppo manca il coraggio di esporsi e questo è uno dei limiti da superare”.

I “giovani di Orgosolo” in gran parte sono universitari che studiano in Italia e all’estero. Quelli che tra loro già lavorano, risiedono fuori dal paese e spesso anche fuori dall’Isola. Molti in Inghilterra. Altri ancora hanno concluso gli studi e sono disoccupati. “Studiamo e viaggiamo – spiega Antonio, 25 anni, studente di Economia e Commercio a Cagliari – Molti di noi hanno avuto la possibilità di conoscere il mondo con l’Erasmus. Vorremmo tornare in paese una volta finita la formazione, ma ora non ci sono le condizioni. Dopo questo primo passo cominceremo a lavorarci assieme”.

Federica ha 25 anni e fa la barista a Elmas:” Lavoravo in un bar anche a Orgosolo, ma non ci stavo bene. I miei amici erano fuori e vedevo troppi ragazzini sbandati che cominciavano a prevalere nel paese. La nostra lettera ha fatto effetto e ora e abbiamo una responsabilità: dobbiamo cercare di dare seguito con i fatti a ciò che abbiamo scritto”.

“Dare seguito” per tornare a casa e vivere una vita serena e ricca. Una vita normale. Magari senza boicottaggi istituzionali. Già, perché le istituzioni – non solo quelle civili, ma anche quelle sportive – non guardano a Orgosolo con la stessa attenzione dei giornali. Una delle due scuole elementari – per volere della maggioranza che governa il comune – era stata assegnata ai carabinieri. Con una scelta involontariamente simbolica in modo sinistro.

Ma il caso più incredibile è quello della “Supramonte”, la squadra femminile di softball, cancellata dal campionato nazionale di A2 per il rifiuto delle altre squadre di andare in trasferta a Orgosolo. E per l’indisponibilità della federazione a trovare una soluzione.

Alessandra è una dei quasi 400 atleti che a Orgosolo sono impegnati in varie discipline sportive e da molti anni fa parte della squadra di  softball:”Abbiamo subito un’ingiustizia grandissima quando siamo state escluse dal campionato: ci siamo classificate al terzo posto e la federazione nazionale non ha nemmeno sentito la necessità di spiegarci perché non possiamo giocare. La nostra storie è stata riportata dalla stampa locale, ma non ha trovato la stessa enfasi della notizia della baby gang”.

Maria Giovanna Fossati

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