Il sogno di volare: il pilota Emanuele Laconi, dall’Isola ai cieli del Canada

“Ancora oggi mi soffermo a pensare e rifletto sul punto da cui sono partito. Rimugino sul giorno che temerariamente lasciai la Sardegna per rincorrere un grande sogno che rischiava seriamente di rimanere una chimera perché non avevo certo la più pallida idea di come concretizzarlo. Forse l’orgoglio sardo e la tenacia mi hanno portato sino a qui, dall’altra parte dell’Oceano“.
A parlare è Emanuele Laconi, originario di Sassari ma da diverso tempo residente a Toronto, in Canada. Emanuele comincia a raccontarci della sua vita, partendo dalle origini e di quell’isola che ogni giorno gli riempie il cuore pur vivendo a migliaia di chilometri di distanza. Oggi che del Canada ha pure la cittadinanza, è forte il desiderio di rimarcare come sia sempre la Sardegna la sua vera Patria.
“L’isola mi manca perché una parte di me è misteriosamente legata a quei posti. Ogni volta che rientro avverto un senso di pace e di ritorno alle origini. Vado a camminare per la campagna, a parlare con quei pastori che salutavo ogni volta che andavo a correre. Sto con gli amici più cari e con la mia famiglia. Sento la mia sardità ancora forte anche se appartengo ormai ad un altro mondo. I miei figli sono esposti alla cultura sarda che cerco loro di trasmettere. Anche se Sofia ed Eli hanno solo 6 anni, ascoltiamo insieme i tenores, i Tazenda e tanto altro che fa parte del patrimonio musicale dell’isola. Giocano con degli oggetti di sughero portati dalla Sardegna da mia moglie Vicki che è molto attenta affinché loro crescano apprezzando le origini del padre”.

Emanuele Laconi è nato a Sassari dove ha vissuto i primi 10 anni della sua vita. “Mio padre – racconta con enfasi e un pizzico di malinconia – che lavorava presso i beni culturali, fu trasferito a Cagliari e noi andammo a vivere a Dolianova dove i miei genitori nel frattempo avevano costruito una casa. Ricordo molto bene quegli anni. Furono molto complicati per mamma e papà. Tre figli da allevare, ed una abitazione che avanzava piano piano a seconda delle risorse economiche che faticosamente si potevano accumulare. Ma alla base di tutto c’era dignità, tenacia e quel gran desiderio di raggiungere gli obiettivi prefissati”.
E la passione per il volo: quando è sbocciata? “Frequentavo la quinta elementare: era il 1986 e la scuola organizzò una visita guidata all’aeroporto di Decimomannu. Quelli erano gli anni di grande tensione tra la Libia e i Paesi che facevano parte della Nato. Dall’Italia ed in particolar modo da Decimomannu partivano aerei ogni 10 minuti per esercitazioni, missioni e monitoraggio dei cieli”.
Un’esperienza forte, dunque. “Infatti quel giorno, al rientro da quella gita, tornai con una persuasione: da grande avrei fatto il pilota di aerei”. La maggior parte dei bambini a quell’età sogna di diventare un supereroe magari pilotando proprio uno di questi aerei. “Quando compii 14 anni manifestai ai miei genitori il desiderio di frequentare l’istituto tecnico aeronautico di Forlì. A malincuore dovetti rinunciare perché non potevano permettersi di mantenermi gli studi fuori dall’isola. E cosi frequentai l’istituto tecnico industriale di Cagliari G. Marconi. Ma la mia testa era sempre in aria! Non c’era giorno che non leggessi qualcosa d’attinente agli aerei. Il mio tormento prosperava sempre più”.
A quando la sterzata? “A 18 anni partecipai al concorso per l’Accademia Aeronautica e lì per la prima volta mi resi conto che in Italia non bastava avere passione e volontà, purtroppo. Necessitano raccomandazioni ovunque e qualche Santo in Paradiso da scomodare per l’occasione”. E tu? “Io, non li avevo. Così, una volta che pervenni al diploma, mi iscrissi a Giurisprudenza sempre a Cagliari frequentando i corsi per circa tre anni. Ma il chiodo fisso era sempre quello di riuscire a volare. Fu un periodo di profonda crisi esistenziale. Mi rendevo conto che la vita aveva preso una direzione che non mi soddisfaceva. Lasciai l’Università e divenni a tutti gli effetti un emigrato. Partii prima per il Veneto e poi per Firenze per lavorare il più possibile con mansioni disparate con il solo obiettivo di racimolare qualche soldo per prendere parte alla scuola di volo“.

Poi la svolta: “Un giorno, mentre ero a Firenze e lavoravo come cameriere, successe qualcosa che cambio per sempre il corso della mia esistenza. Quell’opportunità che ti capita una o due volte nella vita e che devi avere l’accortezza di identificare e prendere – ironia della sorte – al volo. In quel ristorante conobbi un comandante della Meridiana Fly. Iniziai a discorrere e lui mi propose di andare in America presso la scuola di volo che aveva frequentato. Non so come e forse nemmeno il perché ma nel settembre 2001, quello famigerato che ha messo in ginocchio gli Stati Uniti, mi ritrovai a Dallas Fort Worth per iniziare la scuola di volo”.
Un sogno che si realizzava, quindi. “Non proprio: quel settembre 2001 e gli attacchi terroristici a New York e Washington penalizzarono anche il mio tragitto professionale. Nonostante tutto riuscii a conseguire la licenza di pilota commerciale. Ma le autorità americane revocarono tutti i permessi di studio per i piloti non americani e così dovetti rientrare in Italia. Sembrava che il mondo mi fosse crollato addosso. Rientrai mestamente in Sardegna rassegnato e sconfitto. Andai a lavorare in un ristorante come lavapiatti. Non c’era notte che pensassi a quel sogno frantumato che mi frustrava all’infinito. Ricordo la sensazione di inadeguatezza e di profonda confusione”.

La via per il Canada. Ed ecco che si profila all’orizzonte la seconda ed ultima opportunità che la vita propone. Continua ancora Laconi: “Conobbi Vicki che si trovava in Sardegna per lavoro. Una ragazza canadese che non parlava neanche una parola d’italiano. Per stare al mio fianco lei rimase in Italia. Ma dopo due anni progettammo di trasferirci in Canada. Giunto in quel Paese dovetti affrontare difficoltà burocratiche enormi: non avevo permessi di lavoro. Una sera di novembre, mentre fuori nevicava ed io prendevo un caffè seduto in una caffetteria italiana ed ascoltavo la storia di alcuni immigrati italiani, decisi di rispolverare quel sogno nel cassetto di cui da qualche parte avevo conservato la chiave. Volevo fare il pilota”.

“È quando decidi veramente – sorride – allora, quasi per magia, tutto inizia a muoversi nel verso giusto. Contattai un istituto aeronautico di Toronto. Trovai intanto dei lavori in nero, visto che senza documenti non potevo professare in regola. La mattina cucinavo le uova e il bacon per una tavola calda e al pomeriggio facevo il cameriere in un altro ristorante. La notte studiavo. Diventai istruttore di volo. Insegnavo a volare presso la più grande scuola della città. Qualcosa stava cambiando veramente. Dopo due anni di istruttore venni assunto per volare su un piccolo bimotore nella regione del Manitoba, a due ore di aereo da Toronto. Lasciai i miei due figli di un anno per andare a volare altrove e fare l’esperienza indispensabile. E non fu facile per niente. Facevo il postino aereo per dei posti remoti del Canada. Il mio curriculum si arricchiva notevolmente. La compagnia mi offrì un posto come primo ufficiale per una nuova rotta su un aeromobile più capiente. Trasportavamo i nativi d’America nelle loro riserve. Feci questo per due anni. Infine tornai a Toronto per stare più vicino ai bambini e a mia moglie nella speranza di trovare un’altra occupazione”. Ma non fu cosi? “L’offerta che mi arrivò in concreto era di un posto in Newfoundland o isola di Terranova vicino alla Groenlandia. Facevo il guardia costiera. Un’esperienza meravigliosa che porterò sempre nel cuore. Eseguivamo pattugliamento del confine marittimo canadese. Trasvolai sopra il punto dove affondò il Titanic: tutti voli a bassa quota. Ricordo lo spettacolo delle balene che saltavano quasi ad esibirsi in una danza. Gli iceberg più grandi di un campo da calcio. Mi ricordo di quando mi mandarono nella zona di Vancouver. Volavo in mezzo alle Rocky Mountains. Paesaggi mozzafiato. Dopo un altro anno e mezzo finalmente arrivò la telefonata che per tanto tempo avevo atteso. Una delle più grosse compagnie canadesi mi chiamò per una interview per una posizione a Toronto. Passo il colloquio, visite mediche, test psicoattitudinali e vengo assunto. Ho pianto. Come un bambino: ero arrivato dove volevo. Tornavo a casa dalla mia famiglia”.

Un pensiero finale per la Sardegna? “Vorrei trasmettere un pensiero ai miei conterranei che vivono momenti molto difficili: non mollate, mai! Anche quando tutto può sembrare perduto, è giusto non rassegnarsi ma guardare sempre avanti. Con fiducia”.

Massimiliano Perlato

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