Alessandro Solinas, medico sassarese a New York: “Il sogno americano? Esiste ancora”

«Ho lasciato la Sardegna nel 1988, per lunghi periodi, e finalmente in pianta stabile nel 1990. I motivi? Donne, lavoro, il sogno americano». Al di là della stringatezza, comunque eloquente, ciò che colpisce è l’avverbio conficcato nella frase e che sa tanto di liberazione. Alessandro Solinas, medico sassarese di (quasi) 55 anni, è tutto fuorché il ritratto dell’emigrato colmo di rimpianti; caustico quanto occorre, negli Stati Uniti ha trovato una dimensione familiare e lavorativa ottimale che, nella migliore delle ipotesi, lascia spazio a una qualche forma di timida nostalgia comprensiva – nell’ordine – di: «madre, fratelli e sorelle, parenti vari, alcuni amici, patate e carciofi, orate, frutta di stagione, fainè – anche se mia moglie ha imparato a farla in scala un po’ ridotta – il mare e l’aria, la Cavalcata almeno una volta e possibilmente un Natale, formaggelle fresche, tiricche, seadas, finocchietti selvatici e fichi d’India».
Sposato con Anna, anche lei medico, dal 1992 e padre di due ragazzi – Marc e Michael rispettivamente di 21 e di 15 anni – Alessandro ha frequentato in città il liceo Azuni e la facoltà di Medicina cui dedica uno speciale ringraziamento: «mi ha dato una preparazione teorica di ottima qualità che mi ha permesso di fare carriera negli Stati Uniti».
Il resto l’ha conquistato a New York svolgendo la residency, l’internato, in Medicina Interna al Jamaica Hospital e ottenendo in seguito la certificazione come specialista che- chiarisce – «deve essere ripetuta attraverso esami scritti e test ogni dieci anni per mantenere lo status». Attualmente lavora al Flushing Hospital di Queens, dove ricopre il ruolo di Associate Chairman of Medicine. «Sono anche il direttore delle Cliniche di Medicina Generale e Specialistica dell’ospedale, del servizio dei medici ospedalieri per la medicina interna e il supervisore delle prestazioni specialistiche. Gli Stati Uniti mi hanno regalato – tra le altre cose – una famiglia che mi adora, un lavoro che mi dà soddisfazione, l’indipendenza economica. Ho il piacere di poter dire che mi sono fatto da solo e che mio padre non ha dovuto chiedere niente a nessuno.  L’unica cosa che mi ha levato è essermi tolto dai piedi di quelli cui non piacevo».
Tra le cose che gli piacciono c’è, ovviamente e anche in maniera abbastanza scontata, la sanità che tratteggia con piglio volutamente polemico. «Tutti i pazienti che sono ricoverati in ospedale ricevono lo stesso trattamento. Nessuno chiede soldi in anticipo, chiunque si presenti in Pronto Soccorso è curato al meglio. E se non hai soldi, i trattamenti li pagano le tasse che pago io. E tutto ciò, per evitare dubbi, da molto tempo prima che Obama finisse le scuole medie. Il difetto più grosso è che spendiamo troppi soldi per fornire pasti individualizzati, servizio tv personalizzato, camere a due letti o singole senza aumenti di prezzo, un’infermiera professionale ogni sei pazienti, un dietista che vede tutti e prepara il piano personalizzato entro un giorno dal ricovero, medici e specializzandi per ventiquattro ore e non uno per quaranta o cinquanta letti. Non c’è alcun limite per le visite di familiari e amici, tutte le stanze hanno il bagno che è pulito due o tre volte al dì e non ti devi portare la carta igienica da casa; il conto ti arriva solo se non hai un’assicurazione. Se lavori questo ti dà diritto all’assicurazione come fringe benefit. In caso contrario, il governo ti fornisce il Medicaid -pagato con le mie tasse – così puoi andare in clinica. Un appuntamento per la Tac è fissato in pochi giorni, non tra due mesi. Se sei vecchio e malato, il prelievo te lo fanno a casa. Questa è New York, con milioni di abitanti e un traffico allucinante, non Sassari, dove mia zia deve fare quattro ore di fila per un controllo che potrebbe essere compiuto con una macchinetta portatile».
Insomma per Alessandro Solinas, America e opportunità sono un binomio ancor oggi solido: «Se sei bravo, i soldi arrivano e riesci a vivere e a fare ciò che t’interessa, senza l’assillo di pane e companatico, almeno negli Stati Uniti; in Italia – sottolinea abrasivo – non so come funzioni».

Giovanni Runchina

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