regione sardegna viale trento

Cercasi leader generoso e fantasioso per i progressisti sardi

Mai si era arrivati quasi alla vigilia del voto per le Regionali in un clima così incerto. Un caos ben sintetizzato dalla condizione in cui si trovano i candidati del centrosinistra e del centrodestra i quali, benché sostenuti dalla principale fonte di legittimazione delle rispettive parti politiche – Francesca Barracciu dalle Primarie, Ugo Cappellacci da Berlusconi – non hanno ancora la candidatura definitiva in tasca. I loro omologhi del passato in questa stessa fase erano già in piena campagna elettorale, loro invece devono sostanzialmente ancora avviarla.

A questo si aggiunga il fatto che la forza che alle ultime elezioni (le Politiche) ha conquistato nell’Isola il maggior numero dei voti – il Movimento 5 Stelle – non ha ancora individuato il suo candidato. Ed esiste addirittura qualche possibilità che s’incarti fino al punto di non riuscire a presentarne uno. Ipotesi improbabile, certo. Ma il solo fatto che ancora non sia del tutto esclusa chiarisce bene a che livello di confusione si è arrivati.

La disgrazia è che questa confusione preelettorale potrebbe essere solo un piccolo assaggio di quella successiva. Vediamo perché.

Se non ci saranno sorprese, i sardi dovranno scegliere tra almeno sei candidati: Francesca Barracciu, Ugo Cappellacci, Michela Murgia, Il mister X del Movimento 5 Stelle, Mauro Pili, Piefranco Devias. O anche sette candidati se Sinistra e libertà e la galassia di forze che si è coagulata attorno a don Ettore Cannavera decideranno di presentarne uno. La possibilità che, in seguito a questa frammentazione, nessuna coalizione superi il 25 per cento – la soglia minima per far scattare il premio di maggioranza – è alta. E con essa quella di un governatore che, come al tempo della Prima Repubblica, sarà costretto a cercarsi la maggioranza in consiglio.

E’ una possibilità determinata dalla nuova legge elettorale-demenziale approvata nel giugno scorso. Una normativa disseminata di piccole astuzie introdotte dai partiti tradizionali con lo scopo di dissuadere la discesa in campo di nuove organizzazioni politiche, ma priva del requisito fondamentale di qualunque legge elettorale: la garanzia che, comunque vadano le cose, dalle urne venga fuori una maggioranza in grado di governare.

Anzi, è legittimo il dubbio che proprio i varchi che questa legge lascia aperti a un ritorno al passato, abbiano favorito (e stiano in queste ore ancora favorendo) la frammentazione. E’ stato introdotto uno sbarramento molto alto (il 10 per cento) per le coalizioni, con lo scopo evidente di frenare la nascita di un polo indipendentista. Contemporaneamente si è stabilito che i partiti che si presentano all’interno delle coalizioni concorrono ai seggi indipendentemente dalla percentuale conseguita. Questo per rendere le coalizioni già esistenti più attrattive per i piccoli partiti. Ma si è anche stabilita un’altra soglia di sbarramento, di difficoltà diciamo “media” (il 5 per cento) per i partiti che si presentano da soli. Consentendo quindi a singoli esponenti politici dotati di un consenso personale rilevante (è il caso di Mauro Pili) di andare per conto proprio. E per completare l’opera, non si è previsto il ballottaggio. Un capolavoro.

Impossibile fare previsioni su come andrà a finire. I margini sono così stretti che anche gli spostamenti di voto “emozionali” (quelli che certi eventi imprevedibili possono produrre fino alla vigilia delle elezioni) paiono essere in grado di decidere la vittoria, comunque di stretta misura, del centrosinistra, del centrodestra o, chissà, anche di altri. E l’elezione, comunque vada, di un governatore di minoranza, tenuto in ostaggio dai “piccoli” della sua coalizione di appartenenza e obbligato a cercare i voti tra i consiglieri di altre forze politiche.

Uno degli scenari possibili è, per esempio, che Ugo Cappellacci – da molti considerato, con buoni argomenti , il peggior presidente della storia autonomistica – venga rieletto benché tre quarti dell’elettorato abbiano votato altri candidati. E’ l’eventualità che da mesi terrorizza, non a torto, il centrosinistra e una parte considerevole dell’opinione pubblica progressista. E che è alla base dell’appello-provocazione lanciato a Matteo Renzi da Marcello Fois: che il Pd, con un generoso colpo di reni, andasse a sostenere Michela Murgia.

Una provocazione, certo. Che, però, chiarisce molto bene lo stato d’animo (e forse anche i sogni) di una parte considerevole dell’elettorato progressista oggi diviso tra centrosinistra, Sardegna possibile, Movimento 5 Stelle. Una base elettorale che “si parla” molto più di quanto non facciano i suoi dirigenti di riferimento.

Una provocazione, quella di Marcello Fois, ma anche un formidabile assist che Michela Murgia – con la sua dichiarazione di chiusura totale alla possibilità di un’alleanza col Pd – non ha voluto raccogliere. Non solo. L’ha utilizzato per riproporre il giudizio di equivalenza tra tutti i “partiti italiani”. Una semplificazione forse comprensibile in campagna elettorale, ma dal breve respiro. E molto irritante per l’elettorato del centrosinistra.

Comunque vadano queste elezioni regionali, infatti, è del tutto esclusa la possibilità di un’azione egemonica dell’area indipendentista progressista sulla “sinistra italiana”. E viceversa. Così come, in campo nazionale, le velleità egemoniche del grillismo – e la sua chiusura a possibili alleanze col centrosinistra – non hanno portato il Movimento 5 Stelle al 51 per cento, ma hanno ottenuto l’unico risultato di dare ancora fiato, ruolo, potere di interdizione al centrodestra.

Con una “aggravante”. Che mentre dopo le Politiche, il Movimento 5 Stelle chiuse le porte al “vecchio” Partito democratico di Pierluigi Bersani, che aveva appena dato il peggio di sé con l’accoltellamento di Romano Prodi sulla soglia del Quirinale, oggi Sardegna Possibile chiude a un partito che ha appena rinnovato il modo radicale il suo gruppo dirigente, riconoscendo molti degli errori del suo passato anche recente.

Tecnicamente, si poteva soddisfare l’esigenza espressa da Fois (l’esigenza di arrivare nell’area progressista a un punto vincente di sintesi prima delle elezioni) riaprendo le primarie con la partecipazione di Michela Murgia. In assenza nell’Isola di una dirigenza legittimata ad assumere una decisione così pesante (un errore quello di spostare il congresso del Pd a dopo le elezioni), l’unico dotato del potere di assumere l’iniziativa era Matteo Renzi. Al quale, non a caso, Fois si è rivolto. Ma un potere solo teorico, perché molto difficilmente il neosegretario del Pd avrebbe inaugurato il suo mandato con un commissariamento.

Con la chiusura preventiva a ogni possibile alleanza, Michela Murgia ha tolto i vertici nazionali e regionali del Pd da questo imbarazzo. Sostanzialmente con l’effetto di tagliare la possibilità di un dialogo con la vasta area progressista che ha in simpatia le posizioni indipendentiste, ma si considera parte della battaglia politica nazionale.

Una forza progressista sarda non può considerare irrilevante, fare come se nulla fosse accaduto, il cambiamento radicale che si è compiuto nella più grande forza politica italiana. Dovrebbero far sentire la loro voce i tanti progressisti sardi che si sono avvicinati a Sardegna Possibile con l’idea che si tratti di una coalizione aperta anche a forze e a personalità non indipendentiste. E che, per esempio, non hanno condiviso il “bollino nero” di ProgReS alle scorse elezioni politiche.

Mancano pochissimi giorni e i giochi sono praticamente fatti. Ma certamente qualunque atto (sì, ci vogliono molto coraggio e fantasia) che oggi vada nella direzione di un tentativo di ricomposizione delle forze progressiste, verrebbe premiato dall’elettorato. Francesca Barracciu dovrebbe ragionare in questa chiave. E magari guardare al suo successo alle primarie non solo con riferimento alle elezioni, ma anche in relazione al risultato delle primarie nazionali che ha, nei fatti, messo in minoranza l’attuale segreteria regionale del Pd. E valutare la possibilità che il cosiddetto “passo indietro” possa diventare un “passo avanti” se si traduce nella capacità di governare questa situazione difficile. Matteo Renzi, d’altra parte, ambiva a diventare premier, ma intanto è diventato segretario. E in Sardegna nei prossimi mesi non è in gioco solo il posto di governatore, ma anche quello di leader del Partito democratico.

Sardegna Possibile, coalizione nata attorno a una forza indipendentista, ma dichiaratamente aperta ad altri apporti, dovrebbe fare lo sforzo di non dimenticare questa prospettiva se non vuole creare un nuovo angusto fortino isolano e isolato. E perdere molto rapidamente l’interesse e le simpatie che ha suscitato.

Forse è ormai troppo tardi per tutti. Ma non va dimenticato che questo problema – il problema della ricomposizione delle forze progressiste sarde – si porrà integralmente dopo le elezioni, in qualunque modo vadano. Chi fosse in grado di risolverlo prima, determinando la sconfitta del centrodestra, sarebbe il vero governatore della Sardegna. Anche se non dovesse andare a sedersi su una poltrona del palazzo di viale Trento.

G.M.B.

Diventa anche tu sostenitore di SardiniaPost.it

Care lettrici e cari lettori,
Sardinia Post è sempre stato un giornale gratuito. E lo sarà anche in futuro. Non smetteremo di raccontare quello che gli altri non dicono e non scrivono. E lo faremo sempre sette giorni su sette, nella maniera più accurata possibile. Oggi più che mai il vostro supporto è prezioso per garantire un giornalismo di qualità, di inchiesta e di denuncia. Un giornalismo libero da censure.

Per ricevere gli aggiornamenti di Sardiniapost nella tua casella di posta inserisci la tua e-mail nel box qui sotto:

Related Posts
Total
0
Share