Tutti a casa? (la profezia di don Ettore)

Se la Barracciu facesse il “passo indietro”, l’effetto domino travolgerebbe buona parte del consiglio regionale uscente. E anche nel centrodestra…

“Fuori gli indagati dalle istituzioni”. Era l’8 novembre quando don Ettore Cannavera lanciò la sua scomunica contro i consiglieri regionali che avevano ricevuto un avviso di garanzia per le spese pazze in Consiglio. Ma un mese fa sembrava che il sacerdote, notoriamente vicino al centrosinistra (in estate il sottosegretario Paolo Fadda lo propose come leader della coalizione), ce l’avesse soprattutto con Francesca Barracciu, la candidata governatrice del Pd. Invece, nel frattempo, l’inchiesta sui fondi ai gruppi (la seconda aperta dal 2009) si è allargata, gli indagati hanno superato quota sessanta, ovvero più dei posti disponibili in Aula nella prossima legislatura. Oggi le parole di don Cannavera diventano quasi una profezia per tutti i partiti del Consiglio.

Sarebbe un rinnovamento clamoroso, se nessun onorevole accusato di peculato venisse ricandidato. Di certo, è difficile dire chi, tra destra e sinistra, se la passi meglio. In quota Pdl, sono in carcere tre dei sei onorevoli finiti per ora nel mirino della Procura cagliaritana, visto che su tutti gli altri le verifiche del pm Marco Cocco stanno ancora andando avanti. L’ultimo arrestato è Sisinnio Piras che si è aggiunto a Mario Diana e Carlo Sanjust.

Nel Pd gli indagati sono trentatré, compresa la Barracciu. E se l’eurodeputata facesse il “passo indietro”, sarebbero costretti ad andare a casa anche gli altri sette consiglieri democratici uscenti (su 17) che hanno ricevuto un avviso di garanzia. Del resto, verrebbe male spiegare agli elettori perché un indagato non può fare il governatore, ma può candidarsi come consigliere.

Il problema dell’auto-rottamazione si pone comunque un po’ per tutti i partiti, incluso il Psd’Az che, dopo le diciannove perquisizioni di martedì, è entrato ufficialmente nell’inchiesta con tre onorevoli accusati di peculato. Ma non va dimenticato che Ornella Piredda, l’impiegata del gruppo Misto che nel 2009 fece partire la prima indagine, chiamò in causa, su tutti, l’ex sardista Giuseppe Atzeri. E da lì la Procura arrivò all’Udeur di Carmelo Cachìa e all’Uds di Mariolino Floris.

La scure del pubblico ministero non ha risparmiato l’Udc, a cominciare dal leader Giorgio Oppi indagato insieme a tutti i consiglieri centristi in carica. I socialisti nel mirino sono quattro. Invece: Giommaria Uggias, attuale segretario Idv, è sotto processo nella prima inchiesta sui fondi di gruppi e ha ricevuto un avviso di garanzia anche per l’indagine bis. Ex dipietrista è invece Adriano Salis, già condannato a un anno e otto mesi.

C’è da dire che il pm sta procedendo per gruppi, quindi non ha ancora passato in rassegna tutti i partiti di via Roma. Cioè significa che ci potranno essere altre novità nelle prossime settimane, quando la campagna elettorale entrerà nel vivo e le forze politiche della Regione dovranno compilare le liste.

Nel centrodestra, tuttavia, la questione morale non è all’ordine del giorno: sarà che Ugo Cappellacci, ricandidato da Silvio Berlusconi, è quello messo peggio: in due processi, di cui uno va a sentenza a gennaio, è accusato di bancarotta, ma è stato anche rinviato a giudizio per abuso d’ufficio nello scandalo della P3, sull’eolico.

Il tema degli indagati è invece molto dibattuto nel centrosinistra: per misurare il gradimento della Barracciu, Matteo Renzi  ha commissionato un sondaggio dopo il vertice di mercoledì a Roma chiesto da Silvio Lai, il leader dei democratici sardi, anche lui sotto inchiesta. Sulla stessa barca dell’eurodeputata ci sono i consiglieri Marco Espa, Chicco Porcu, Vincenzo Floris, Gavino Manca, Franco Sabatini, Mario Bruno e Giuseppe Cuccu. Questi ultimi due, comunque, hanno già annunciato la non ricandidatura.

Invece: tra i dieci onorevoli Pd non sfiorati dall’indagine, otto sono alla prima legislatura. E cioè: il capogruppo Giampaolo Diana, più Cesare Moriconi, Tarcisio Agus, Pietro Cocco, Lorenzo Cozzolino, Luigi Lotto, Valerio Meloni e Antonio Solinas. Si aggiungano l’ex assessore all’Urbanistica, Gian Valerio Sanna, e l’ex governatore Renato Soru, entrambi rieletti in Consiglio a febbraio 2009.

È proprio sulla questione morale che gli alleati del Pd hanno aperto la fronda alla Barracciu. Ma il deputato Roberto Capelli, tra i leader più esperti e scafati della coalizione, è stato l’unico a intuire il rischio di un effetto domino sull’intero Consiglio, nel caso in cui l’eurodeputata non venisse ricandidata perché indagata. Un effetto domino che potrebbe scontentare molti capicorrente del Pd. Tanto che Capelli, alla guida del Centro democratico sardo, aveva frenato sulla scomunica di don Cannavera. Il parlamentare mise in chiaro che l’accusa di peculato era sconveniente solo nel caso del candidato governatore, perché una sua condanna farebbe cadere l’intera Assemblea, per via della legge Severino. Capelli aggiustò il tiro del sacerdote aggiungendo che “spetta a ciascun partito fare chiarezza al proprio interno sulle eventuali responsabilità dei singoli consiglieri”, quindi sulla loro candidabilità o meno.

Alessandra Carta

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