Ganau: “Anche il Pds era favorevole a cambiare la legge elettorale”

Da presidente super partes a manovratore solitario. Così, nel giro di ventiquattro ore, il Partito dei sardi ha dipinto Gianfranco Ganau, al termine di un confronto sulla legge elettorale che il capo della massima assemblea sarda, ieri, non ha potuto nemmeno illustrare ai partiti di maggioranza e opposizione perché gli indipendentisti del Pds hanno rotto il tavolo prima della discussione. E oggi il capogruppo del partito, Gianfranco Congiu, sentito telefonicamente da Sardinia Post, ha accusato Ganau di “voler calare dall’alto” il testo normativo. Un j’accuse tanto duro quanto plateale e a cui il presidente del Consiglio replica, in questa intervista chiesta dal nostro giornale. A venire fuori è una ricostruzione dei fatti diversa rispetto a quella raccontata da Congiu. Poi il capo dell’Assemblea sarda riflette su Pd, voto del 4 marzo e Regionali del prossimo anno.

Presidente, il Partito dei sardi dice che lei voleva calare dall’alto la legge elettorale.

Lungi da me voler calare una legge d’alto. Ieri, in conferenza dei capigruppo, ho presentato una proposta normativa, peraltro elaborata insieme agli uffici, perché questa era stata l’indicazione largamente condivisa in Consiglio. Avevo ricevuto un mandato chiarissimo a riguardo. Tanto le forze di maggioranza quanto i partiti di opposizione, consideravano necessario correggere le storture dell’attuale legge elettorale, specie nei limiti alla rappresentanza che nel 2014, per esempio, non hanno consentito a Michela Murgia di entrare in Consiglio malgrado il 10,30 per cento raccolto alle urne.

Prima di ieri c’erano stati segnali di contrarieta?

Assolutamente no, mai nessun segnale in questo senso. Non solo: la proposta di legge, su cui in conferenza dei capigruppo non si è neppure aperto il dibattito, doveva essere un testo base a partire dal quale avviare il confronto. Questo era stato l’accordo, soprattutto alla luce del fatto che le leggi elettorali sono per loro natura divisive. Cominciare la discussione da una proposta di riferimento corrispondeva all’obiettivo di arrivare più rapidamente alla piena condivisione di un testo.

Ieri, nella conferenza stampa che ha convocato per spiegare l’epilogo, non ha mai fatto accenno al Partito dei sardi. Col senno di poi la sua reticenza a chiamare in causa una forza politica nello specifico può essere letta come garbo istituzionale. Ma oggi il capogruppo Congiu le ha attribuito più di una responsabilità, apertamente. È rimasto sorpreso?

Mi ha lasciato perplesso la mancata volontà di entrare nel merito della proposta di legge. La contrarietà al testo ha preceduto l’avvio della discussione. Visto come è andata ieri, per fortuna la doppia preferenza di genere è stata stralciata dalla legge e votata a novembre. Altrimenti non si sarebbe mai aperto il confronto nemmeno su quella.

Congiu ha lasciato intendere che lei volesse usare la proposta di legge elettorale per guadagnare nuovo consenso, in vista delle Regionali 2019.

Ma figuriamoci. Ho impostato il mio mandato di presidente in Consiglio regionale sulla equidistanza dagli schieramenti, proprio per rappresentare al meglio l’intera assemblea ed evitare strumentalizzazioni.

Il capogruppo di Mdp-Art1, Daniele Cocco, propone di correggere l’attuale legge almeno nella parte discussa dai tribunali amministrativi nei vari ricorsi presentati in questa legislatura e che hanno fatto cambiare più volte la composizione dell’Aula. Cocco suggerisce l’inserimento del quoziente interno alle coalizioni. È una strada percorribile?

Non solo è percorribile, ma questo aspetto riguarda proprio una delle modifiche introdotte nella proposta di legge elaborata con gli uffici: è stato previsto uno sbarramento del 2 per cento.

Ritiene definitivamente archiviata la partita della legge elettorale o c’è ancora spazio per eventuali ripensamenti?

L’unico ostacolo che ha il Consiglio è di tipo temporale: la legge elettorale è materia statutaria, quindi per la sua entrata in vigore bisogna prevedere anche i mesi necessari a indire un eventuale referendum confermativo, qualora venisse richiesto. Vuol dire che l’Assemblea deve legiferare entro i primi di maggio.

La sua proposta di legge cosa prevede per evitare un caso ‘Murgia bis’?

Nel caso in cui un candidato presidente raccogliesse più dell’8 per cento, a prescindere dai voti delle liste, sarebbe eletto. Se questa norma fosse stata in vigore nel 2014, Michela Murgia sarebbe diventata una consigliera della Sardegna. Nella legge attuale la soglia di sbarramento è al dieci per cento ed è richiesta alle liste, non al candidato alla presidenza. Oggi, peraltro, entrano in Aula sono due leader: quello che vince le elezioni e il secondo più votato.

Nel testo che ha elaborato insieme agli uffici cambia anche il premio di maggioranza: scatterebbe a partire dal 35 per cento. Ad avvantaggiarsene sarebbe il Movimento Cinque Stelle.

La soglia minima al 35 per cento è stata un’indicazione della Consulta, scritta nella sentenza con la quale i giudici costituzionali bocciarono l’Italicum, perché prevedeva il premio di maggioranza senza indicare una soglia minima di consenso a garanzia della volontà popolare.

Alle 15,30 è cominciato il vertice di maggioranza. Lei è rimasto lì un’ora. Che aria tirava?

Aria di verifica sulle cose da fare: a dieci mesi dalle elezioni c’è la necessità di concordare l’agenda di fine legislatura.

Il Partito dei sardi ha scelto di restare fuori dal conclave: secondo lei gli indipendentisti rimangono in maggioranza o se ne vanno? 

Mi auguro che vogliamo completare con noi il percorso, in coerenza col patto elettorale siglato quattro anni fa.

Quale futuro per il ‘suo’ Pd?

Il Pd è chiamato a una profonda riflessione post elettorale e mi pare lo stia facendo: è necessario discutere sulle ragioni che il 4 marzo hanno portato a una sconfitta così pesante.

Indica almeno i tre macroscopici errori che, secondo lei, ha commesso il Pd?

Su tutto direi che ha inciso la mancata condivisione delle riforme più importanti. Mi riferisco, per esempio, al Jobs Act che ha minato la garanzia delle tutele sindacali. E quando a fare questo è un partito di sinistra, l’elettorato si allontana. Lo stesso è successo con la Buona scuola: vero che sono stati stabilizzati 110mila precari, ma è stato messo in discussione uno dei principi fondanti del mondo dell’insegnamento, ovvero il valore dell’anzianità professionale: la riforma assegnava ai presidi la selezione dei docenti. Ma l’errore più clamoroso ha fatto il paio con la scelta di Renzi di intestarsi il referendum costituzionale. Si può aggiungere il problema della comunicazione: i messaggi degli altri partiti, e mi riferisco in particolare a M5s e Lega, sono passati perché erano pochi e chiari, come reddito di cittadinanza, taglio delle tasse e aumento delle pensioni. Il Pd ha fatto la campagna elettorale sulle ‘100 cose’. Poteva essere speso meglio anche il grande traguardo del reddito di cittadinanza, così come l’aumento delle risorse per le università. Ugualmente le leggi sui diritti civili non sono state valorizzate per la loro portata storica e sociale.

Un Pd sardo vi aiuterebbe a risalire la china?

Il Pd sardo è un’idea importante che qualche anno fa abbiamo fatto introdurre anche nello statuto nazionale. Poi, colpevolmente, abbiamo abbandonato la strada. Andrebbe ripresa. I tempi sono stretti, ma io ci credo.

Il suo impegno per l’inserimento in Costituzione dell’insularità, attraverso la via referendaria, è quasi quotidiano. Il presidente Soddu, intervistato a marzo da Sardinia Post, ha detto che è “un vessillo, una cosa innocua, facile e financo populista“, ma non utile perché “in Sardegna manca una prospettiva culturale e politica”.

Col presidente Soddu condivido tanti punti di vista, ma stavolta non sono d’accordo con lui. Quella per l’insularità è una battaglia identitaria che serve per fare pressione sullo Stato, affinché possa interloquire con maggiore forza a Bruxelles, con l’Unione europea. Se la Sardegna non recupera competitività sulle infrastrutture, non può crescere. Abbiamo bisogno di risorse per migliorare strade e trasporti e pagare meno il costo dell’energia.

Scelta del candidato governatore alle Regionali del prossimo anno: farete ancora le primarie?

Le primarie sono il metodo che ci siamo dati dieci anni fa, non ci sono motivi per rinunciarvi.

Che lei sappia, il presidente Pigliaru si ricandida o no?

Quando i giornali hanno scritto che non si ricandidava, il presidente ha smentito. Quindi attendiamo che ci comunichi la sua decisione. Possibilmente prima della fine della legislatura.

Nel Pd si discute anche l’ipotesi di un ‘papa nero’, come possibile candidato, nel caso in cui Pigliaru rinunciasse. E cioè un altro tecnico, un non politico per cercare di contrastare la novità M5s.

Credo che abbiamo già dato coi non politici.

Si riferisce a questa legislatura?

Anche alle passate.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

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