Doppia preferenza, Aula divisa ancora prima di esaminare la nuova legge

Il Consiglio regionale si prepara a rivedere la legge elettorale a due anni dalla sua approvazione.

La nuova legge elettorale della Sardegna torna al centro del dibattito politico, a due anni dalla sua approvazione. Perché così come sono, le regole fissate nell’estate 2013 non piacciono più nemmeno a chi le aveva votate. In cima alle questioni da risolvere, ecco la doppia preferenza di genere che, nella passata legislatura, divise il Consiglio sino alla bocciatura della norma stessa, con voto segreto. Ma neppure stavolta il consenso pare unanime. Paolo Truzzu (Fdi) si tira già fuori: “Sono contro tutte le quote-Panda”, anticipa.

Fatto sta che l’ultimo tassello per il cambio della legge lo ha messo il presidente dell’Aula, Gianfranco Ganau, in un’intervista al quotidiano La Nuova Sardegna. Ma il primo richiamo alla necessità di rivedere il testo, lo hanno lanciato a fine aprile gli alleati del Pd, con una proposta di legge sulla doppia preferenza di genere. Prima firmataria, Anna Maria Busia (Cd).

Francesco Agus, il vendoliano alla guida della commissione Riforme, quella cui spetterà la eventuale revisione della legge, allarga subito lo sguardo sull’intero impianto normativo. E dice: “Questa legge elettorale ha mostrato di avere problemi: la questione di genere, la mancata equa rappresentatività dei territori e gli sbarramenti. È evidente che la Sardegna, tra quattro anni, non può tornare al voto con le stesse regole”.

Sulla doppia preferenza, Agus sostiene: “A prescindere dalle ragioni, è un dato di fatto che le donne vengano votate poco. Si tratta di spezzare questo trend con l’introduzione di uno strumento previsto già per le Comunali e rivelatosi efficace. Nell’Isola, con la tornata del 31 maggio scorso, il rapporto tra consigliere e consiglieri è 1 a 5, adesso. Significa il 20 per cento. Con la modifica della legge elettorale sarda ci metteremo al passo anche a livello regionale, dopo la Campania e la Toscana. Quattro donne nella massima assemblea sarda sono davvero poche. Si potrà soltanto migliore”.

Va ricordato che nell’estate 2013, quando il Consiglio varò la norma, per compensare la bocciatura della doppia preferenza vennero introdotte le quote riservate nelle liste, prevedendo che ciascuno dei due generi dovesse essere garantito con una soglia minima di un terzo.

Sulla rappresentatività dei territori, lo scorso febbraio è successo che la ripartizione dei seggi ha penalizzato la Gallura, il Medio Campidano e l’Ogliastra. Sulla carta avrebbero dovuto esprimere rispettivamente 5, 4 e 2 consiglieri. Invece su Olbia-Tempio ne sono stati eletti due, altrettanti nella provincia di Sanluri-Villacidro e uno su Lanusei-Tortolì. Il tutto a vantaggio di Cagliari (passata da 20 a 21), di Sassari (che ha incrementato di 3, da 12 a 15) e del Nuorese (salito da 6 a 7).

Il presidente della prima commissione aggiunge: “La riduzione della rappresentatività territoriale non è accettabile. Si dovrà anche discutere sul numero di collegi, alla luce della riforma degli Enti locali con la conseguente soppressione delle Province. Io sono per mantenere la più ampia ripartizione, in 8 circoscrizioni elettorali”.

Infine gli sbarramenti, al 5 per cento per le singole liste non apparentate e al 10 per le coalizioni. In questa legislatura sono rimasti fuori dall’Aula sia Michela Murgia che Mauro Pili, la prima alla guida di Sardegna Possibile, mentre il secondo era il leader di Unidos. “Come candidati governatore hanno preso rispettivamente il 10,30 per cento (75.981 preferenze) e il 5,72 (42.236). Eppure, per via dello sbarramento di coalizione (calcolato sulle totale delle liste), oltre 118mila sardi non sono rappresentanti nell’Assemblea”.

La Busia non era ancora consigliera regionale, quando nella passata legislatura sostenne l’introduzione della doppia preferenza di genere. “L’obiettivo è superare una discriminazione certificata dalla Corte Costituzionale che nel 2010 respinse il ricorso dell’allora governo Berlusconi contro la legge elettorale della Campania”. L’esponente del Centro Democratici ribadisce: “La doppia preferenza non serve per avvantaggiare le donne, ma per rimuovere, nel rispetto dell’articolo 3 della Costituzione, gli ostacoli di ordine sociale che limitano di fatto l’uguaglianza dei cittadini”.

La proposta di legge della Busia è stata sottoscritta da Sel, Partito dei Sardi, RossoMori e dalle due consigliere del Pd, Rosella Pinna e Daniela Forma. “Nella conferenza stampa di presentazione – ricorda la Busia – il presidente Agus assunse pubblicamente l’impegno di avviare l’esame in commissione dopo la riforma sugli Enti locali, credo quindi entro l’estate”.

Alessandra Zedda, l’azzurra più votata del centrodestra alle Regionali 2014 (raccolse 5.513 voti), l’attuale legge elettorale la votò, da consigliera-assessore (allora alla Programmazione). “Diedi il mio assenso – precisa – benché non partecipai alla stesura, visti gli impegni in Giunta. Ma soprattutto non ebbi modo di capire realmente quanto fosse una norma capestro“.

Stando al consenso raccolto un anno e mezzo fa, la Zedda, paradossalmente, è la dimostrazione che le donne non hanno bisogno di corsie preferenziali. Ma la consigliera osserva: “Io ho dedicato la mia vita alla politica, e partivo da una base: sono stata atleta, il mondo dello sport è stato e resta un bacino elettorale di riferimento, al quale si sono aggiunti i miei contatti lavorativi (prima di essere eletta era la dirigente del settore Finanze nella provincia del Medio Campidano”.

La Zedda entra nei dettagli della questione: “In questo Consiglio siamo solo quattro donne su 60. E tra tutte esiste il comune denominatore di una lunga militanza politica, specie nel caso delle onorevoli Pinna e Forma, un’esperienza non richiesta agli uomini”. Quindi la sottolineatura: “L’esito delle amministrative, con la doppia preferenza, ha dimostrato che questo strumento è un reale vantaggio per riequilibrare i rapporti di forza. Allora ben venga”.

Truzzu è invece la voce contro nel dibattito regionale, al momento il solo che apertamente dichiara la propria opposizione alla doppia preferenza. L’esponente dei Fratelli d’Italia osserva: “Personalmente non ho bisogno di opzioni per votare una donna. Il problema della politica italiana non dovrebbe essere quello di stabilire le differenze quantitative tra i due generi, ma al contrario si dovrebbero misurare le capacità”. Truzzu avvisa: “Probabilmente non voterò la doppia preferenza. Il mio partito, per esempio, ha una donna leader, scelta non in quanto tale, ma perché preparata, perché più brava degli altri. E intendo maschi e femmine”.

Il consigliere di Fdi riflette anche sull’obbligo di inserire nelle liste la soglia minima di un terzo per ciascuno dei due generi. Truzzu dice: “Il vincolo non ha portato risultati perché, come sempre succede in questi casi, la priorità diventa quella di rispettare asetticamente la quota, anziché concentrarsi sulla selezionare dei candidati scegliendo persone adatte a ricoprire il ruolo. E questo vale indifferentemente per gli uomini e le donne”.

A domanda precisa sul fatto che le capacità sembrano essere richieste solo al genere femminile, Truzzu risponde: “Io non credo sia così. Le liste si fanno con le persone che accettano un impegno o si mettono a disposizione. E se sono esclusivamente uomini e se sono tutte donne, poco importa. La politica non può essere ridotta a una conta”.

Alla fine della passata legislatura, sulla doppia preferenza di genere provarono a insistere i Riformatori, con una nuova proposta che ad agosto 2013 incassò la seconda bocciatura dell’Aula, sempre con voto segreto.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

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