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Anche i grandi elettori sardi divisi, in pista Prodi e D’Alema

I trenta ‘grandi elettori’ sardi si sono distribuiti nel voto e nel non-voto a Franco Marini in modo non diverso da come si sono divisi i loro 977 colleghi delle altre regioni d’Italia. E altrettanto è successo ai tredici parlamentari del Partito democratico eletti nell’Isola o sardi eletti altrove. Il gruppo si è spaccato a metà.

Alcuni hanno dichiarato pubblicamente il loro no al candidato venuto fuori dall’accordo tra Pierluigi Bersani e Silvio Berlusconi. E’ il caso delle deputate Caterina Pes e Romina Mura e del capogruppo democratico al consiglio regionale Giampaolo Diana. Altri non hanno reso pubblico il loro dissenso, ma l’hanno manifestato nel segreto dell’urna. Per esempio, dovrebbe aver deciso di non votare per Franco Marini anche la parlamentare Giovanna Sanna.

I dissidenti non nascondono la loro soddisfazione per il mancato raggiungimento del quorum. E sottolineano che se alla fine Franco Marini fosse stato eletto, il Partito democratico sarebbe saltato definitivamente in aria. Caterina Pes – che ha dichiarato pubblicamente di aver scritto nell’urna il nome di Giorgio Napolitano – è esplicita: “Col nostro voto abbiamo salvato il partito. Mi ha impressionato la reazione contraria che è venuta dalla base. E, attenzione, non parlo di militanti già schierati su posizioni critiche verso la segreteria Bersani, ma parlo del tessuto del partito: segretari di circoli, dirigenti provinciali… Allo stesso modo mi ha sorpreso l’incapacità del gruppo dirigente nazionale di cogliere questo clima. Nella riunione del gruppo il dibattito è stato chiuso troppo in fretta, Bersani ha preteso di votare la proposta. In tanti ce ne siamo andati via urlando, e fuori abbiamo trovato decine di miitanti che urlavano ancora più forte“.

Quanti hanno assecondato la linea della segreteria ora tacciono. E, contemporaneamente, diffondono una ricostruzione machiavellica della ‘operazione Marini’ che – questa è la voce che viene fatta circolare – sarebbe stata fatta dalla segreteria nazionale nella consapevolezza del suo fallimento. Per impedire a Berlusconi di poter sostenere che non si era tentato di trovare un candidato condiviso. Ricostruzione che ha poco fondamento anche sul piano della logica. E che probabilmente serve a fare confusione e a nascondere le  banalissime ragioni che, secondo i renziani, hanno ispirato Bersani: garantirsi un presidente della Repubblica che gli avrebbe conferito il mandato per arrivare a un governo di minoranza reso possibile dal voto favorevole della Lega e dall’uscita del Pdl dall’aula.

Cosa accadrà adesso? Abbiamo raggiunto per telefono uno dei parlamentari del gruppo sardo mentre era in corso la seconda votazione. E gli abbiamo chiesto quali sono i ragionanti che si fanno in queste ore in casa democratica. Siccome si tratta delle ipotesi che circolano nelle conversazioni informali, ci ha chiesto di non essere citato. Non per la preoccupazione di esporsi, ma perché il quadro è in continuo movimento ed è facile essere smentiti magari domani. Questa è dunque una ‘istantanea’ delle riflessioni avviate subito dopo la prima fumata nera.

“Chiaramente Marini è bruciato. Ha telefonato a Bersani chiedendo di restare in campo, ma è evidente che la sua partita è ormai chiusa e non è pensabile che la sua candidatura venga riproposta a partire dalla quarta votazione. Ma anche il nome di Rodotà in un certo senso è bruciato. E’ stato il candidato contrapposto a quello del Pd ed è molto improbabile che possa essere sostenuto dagli stessi che gli hanno preferito Marini. I nomi che circolano con maggior insistenza sono quelli di Romano Prodi e di Massimo D’Alema…”. E Anna Finocchiaro? Secondo alcuni autorevoli siti le sue chanche sarebbero risalite in queste ore… “Difficile – è la risposta – Renzi l’ha ‘impallinata’ in modo tale che difficilmente può essere recuperata. Soprattutto si riproporrebbe in larga parte la spaccatura del partito. D’Alema, invece, alla fine potrebbe essere sostenuto anche da Renzi. E, quanto a Prodi, difficilmente qualcuno potrebbe opporsi a una scelta di questo genere”.

Ragionamenti liberi, svolti mentre gli sherpa dei potenziali candidati dalla quarta votazione sono già al lavoro. Su due fronti diversi. Il successo di Prodi (che non avrebbe nemmeno un voto dal Pdl e patirebbe un certo numero di franchi tiratori del Pd) è legato a un sostegno ufficiale o sostanziale del Movimento 5 stelle. Quello di D’Alema (che invece avrebbe precchi voti dal Pdl) alla capacità di contenere entro limiti ragionevoli i franchi tiratori che comunque, anche in caso di un sostegno di Renzi, comparirebbero in modo massiccio nel Pd.

Domattina la terza fumata nera. Poi la quarta votazione…

N.B.

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