Sa limba? Una “bestia chiusa in gabbia”. Giuseppe Corongiu e il sardo, “una lingua normale”

Una bestia addomesticata che si vuole sopprimere lentamente: è la triste visione della lingua sarda secondo Giuseppe Corongiu, autore del libro “Il sardo, una lingua normale” pubblicato di recente per le edizioni Condaghes. Corongiu, direttore del Servizio Lingua Sarda della Regione, autore di diversi progetti di ricerca e didattica, capovolge oggi la visione tradizionale degli studiosi che vedono il sardo come una materia inerme da sezionare e analizzare: il sardo è invece una lingua naturale, in continua evoluzione, viva ed estremamente vitale, che non si può ridurre a una classificazione di norme e varianti.

L’immagine di una bestia in gabbia non sarà un po’ troppo cinica? “Purtroppo è così: gli stessi attivisti e ‘cultori’ – sostiene Corongiu – sono in preda a luoghi comuni, stereotipi, pregiudizi e falsità creati da osservatori, scrittori o semplici colonizzatori e diffusi tramite un lungo e articolato processo dalla nostra stessa classe dirigente intellettuale e accademica”.

Dimentichiamo tutto quello che ci hanno detto sul sardo come lingua arcaica, divisa, incomprensibile, incapace di esprimere termini astratti: secondo Corongiu, che al tema dei luoghi comuni dedica un ampio capitolo del suo libro, la visione distorta che oggi i Sardi hanno della loro stessa lingua è stata imposta dalla letteratura italiana e straniera e avvalorata da certi ambienti accademici moderni e contemporanei.

Fazio Degli Uberti già nel Quattordicesimo secolo scriveva che i Sardi non si capiscono tra loro, Max Leopold Wagner nel suo “La lingua sarda” del 1941 sosteneva che gli isolani fossero incapaci di produrre parole astratte: “Ci hanno insegnato a vedere il sardo con occhiali deformati. In genere sono state fonti letterarie presunte autorevoli oppure dicerie popolari. A volte entrambe le cose con in mezzo generazioni di presunti scienziati della filologia che, invece di fare il loro mestiere e verificare le fonti sul campo, hanno pigramente ripetuto ciò che era stato affermato nei testi prima ancora che nascesse la linguìstica. Basti pensare alla presunta divisione del sardo in logudorese e campidanese quasi come due lingue inconciliabili tra loro. Se ne è parlato per secoli, fino a quando Michele Contini è sceso sul campo e ha dimostrato il contrario. Ovviamente la sua opera, nonostante sia un’autorità mondiale, non è stata tradotta e non viene fatta conoscere agli studenti. Si preferisce lasciar prosperare il luogo comune della lingua più divisa di altre”.

Eppure se si ascoltano un uomo di Bitti e uno di Selargius che parlano il “loro” sardo si ha la percezione che siano due lingue lontanissime: “È l’impressione indotta da un giudizio a priori. È stato dimostrato da Bolognesi che la distanza tra i vari dialetti è oggettivamente minima, mentre lo scarto con altre lingue, anche presenti in Sardegna, è rilevante. In realtà succede così nella maggior parte delle lingue del mondo comprese inglese e tedesco, ma anche arabo e cinese che conosciamo meno”.

Tra tutti i pregiudizi sulla lingua sarda qual’è il più difficile da estirpare? “Quello creato dagli intellettuali della ‘Rinascita’ o dai falsi progressisti internazionalisti, secondo cui la lingua sarda si oppone alla modernità. Un errore che solo un ceto culturale molto provinciale come quello sardo poteva fare. Si è puntato su un modello monolingue ispirato dal nazionalismo italiano che era ed è antistorico, antidemocratico e anti economico”.

Tante le battaglie, alcune molto recenti, sull’uso del sardo: dalle discussioni sulla Limba Sarda Comuna all’utilizzo negli atti pubblici, dai cartelli turistici bilingui all’insegnamento nelle scuole. Cosa risponde a chi sostiene che in fondo quello della lingua, rispetto alla situazione che viviamo, è un problema secondario? “Il problema della Sardegna è avere una classe dirigente (e una classe media istruita) subalterna politicamente ed economicamente, perché subalterna linguisticamente e quindi culturalmente. Non capire le straordinarie possibilità anche socioeconomiche che potrebbe darti la valorizzazione di una lingua propria è tipico di questi ceti parassitari che hanno affidato ad altri il proprio futuro e non sanno più contare sulle proprie risorse. Il libro “Il sardo, una lingua normale”, come, la politica linguistica, dovrebbe insegnare a vedere, ad aprire gli occhi sulle cose importanti, dimenticate”.

Francesca Mulas

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