Dove finiscono i rifiuti delle industrie, mappa sarda delle discariche ‘speciali’

Sono le discariche per i rifiuti non urbani, depositi scavati nella terra e poi isolati con polietilene e argilla compattata prima di accatastare gli scarti industriali. In Sardegna se ne contano quattro: a Serdiana, Carbonia, Bolotana e Porto Torres. Migliaia di metri cubi occupati in gran parte da materiali contaminati, da fanghi prodotti dalle depurazione delle acque reflue e da sostanze derivanti dai fumi dei processi di combustione. Il settore, dal 2012, rappresenta però un mercato in crisi: la chiusura delle fabbriche si porta dietro non solo la flessione delle buste paghe dirette, ma anche il calo del business legato all’indotto.

I rifiuti industriali sono classificati come ‘speciali’ e si dividono in pericolosi e non pericolosi, ciò che implica una diversa procedura da seguire sia nel viaggio verso la discarica che nello smaltimento degli scarti di produzione all’interno degli impianti. L’analisi del comparto è lo stesso filone del caso ex Alumix, la pattumiera di Portovesme non ancora bonificata e a cui Sardinia Post ha dedicato la prima puntata di un’ampia inchiesta che fotografa gli effetti dell’industria sull’ambiente e oggi prosegue con questo nuovo approfondimento.

È la Riverso di Carbonia la discarica speciale più grande dell’Isola: nel 2015 l’impianto ha esaurito i suoi primi 850mila metri cubi di spazio autorizzato ottenendo una nuova concessione da 700mila metri cubi, di cui è occupato poco più di un terzo. L’impianto si trova a Serra Scirieddus ed è scavato in un terreno minerario dismesso. Riverso è una srl che fa capo alla famiglia romana dei Colucci.

La seconda discarica speciale più estesa è la Ecoserdiana, attiva dall’88 e aperta tre anni prima per smaltire i soli rifiuti urbani. Poi gli imprenditori cagliaritani Biagio Caschili, Romani Fanti e Salvatore Pisano, i titolari della spa, si sono spostati anche sul business agli scarti industriali per il quale hanno lavorato in regime di monopolio sino al 2001, quando la Riverso è diventata operativa. Durante i successivi quindici anni, però, la Ecoserdiana ha avuto in esclusiva la commercializzazione della discarica di Carbonia attraverso una partnership naufragata nel 2016. L’impianto del Sud Sardegna attende l’autorizzazione per ampliare la discarica di ulteriori 240mila metri cubi.

A Porto Torres è la srl Siged la titolare della discarica per gli scarti industriali: ha una capacità di 450mila metri cubi, solo in parte occupati, visto che c’è un volume residuo di circa 300mila metri cubi. La srl è una costola società del gruppo Soro. A Bolotana, nel Nuorese, la discarica speciale è proprietà della famiglia Cancellu: si tratta dell’impianto isolano più piccolo, autorizzato per 150mila metri cubi, di cui circa 90mila ancora liberi.

In Sardegna il costo medio per smaltire i rifiuti speciali si aggira intorno ai 80 euro per metro cubo. Vuol dire 50 euro ogni mille chili. Un prezzo che, moltiplicato per le 306mila tonellate conferite nel 2011 nelle quattro discariche sarde, ha generato un volume d’affari pari a 15 milioni e 300mila euro.

Nei successivi cinque anni – sempre stando ai dati comunicati dagli impianti all’assessorato regionale all’Ambiente – la flessione è stata pressoché ininterrotta e costante con il 2016 diventato un anno nero per le discariche speciali in Sardegna: i rifiuti industriali smaltiti non hanno superato le 187mila tonnellate. Tradotte in business, 9 milioni e 350mila euro di incassi, con una perdita secca del 40 per cento in un lustro. Questi i dettagli del quinquennio: 272mila tonnellate nel 2012, pari a 13 milioni e 600mila euro di incassi; 271mila tonnellate nel 2013, con un ricavo di 13 milioni e 550mila euro; 206mila  nel 2014 (10 milioni e 300mila euro); 214mila nel 2015 (10 milioni e 700mila euro). Poi appunto la flessione pesantissima del 2016. Nel 2017, invece, una risalita, con i rifiuti speciali di nuovo in aumento sino a 277mila tonnellate, quasi al livello pre-crisi del 2011. Si tratta di numeri legati soprattutto al ciclo produttivo dell’alluminio che avrebbe dovuto trasformare Portovesme in polo produttivo di riferimento mondiale. Invece quell’angolo di Sulcis è oggi una delle province italiane più povere e più inquinate.

Al. Car.
(@alessacart on Twitter)

(2 – continua)

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