DIARIO. Carola Farci, volontaria per gli Sahrawi. La sensazione di essere inutili

Carola Farci, cagliaritana 28enne, è partita sabato per un progetto di volontariato con il popolo Sahrawi, che da quarant’anni vive esule nel deserto dell’Algeria a causa di contrasti con il Marocco. La giovane, insieme al gruppo dell’associazione Looking4, dopo un lungo viaggio in aereo da Cagliari verso Tindouf ha raggiunto in campo di Auserd, nel mezzo di un deserto arido e inospitale. L’ultima parte del percorso il gruppo è stato scortato dall’esercito algerino e poi da quello della RASD, Repubblica Araba Saharawi Democratica. Dopo la prima puntata del diario con il viaggio e l’arrivo, ecco in esclusiva per SardiniaPost il racconto del secondo e terzo giorno nel deserto. .

Comincio col rassicurare tutti: stiamo bene, non pare ci siano pericoli per la sicurezza. La gente attorno a noi è calorosa, ospitale, assolutamente adorabile, e, ovunque andiamo, spunta sempre qualche bimbo che ci saluta, ci bacia, vuole le caramelle o solo giocare con noi.
Il campo di Auserd è composto essenzialmente da quattro tipi di abitazioni: le tende, le case in mattoni di sabbia, le case in lamiera e le case in muratura. Queste ultime due sono soprattutto il frutto delle ultime alluvioni. Il clima del deserto, è inutile dirlo, è infatti secchissimo, ma negli ultimi quindici anni (c’è lo zampino del cambiamento climatico?) è capitato alcune volte che piovesse riversando in una volta sola un quantitativo di acqua enorme. Vere e proprie alluvioni che hanno ovviamente causato disastri, distruggendo le tende e sciogliendo le case di sabbia. Da qui le case in lamiera e quelle in muratura, che sono però una sconfitta per il popolo Saharawi, in quanto ledono l’idea di provvisorietà che questi campi hanno. I Saharawi aspettano da ormai quarantatré anni di ritornare alla propria terra, il Sahara Occidentale, da cui sono stati spodestati dal Marocco. E per questo escludono dalla propria vita qualsiasi cosa assuma un carattere definitivo: non possono pensare di passare la propria esistenza in questo deserto privo di tutto, loro che nascono come popolo di pescatori nell’Oceano Atlantico.
Anche per questo nel campo di Auserd non ci sono i nomi delle vie, né tanto meno i numeri civici. Tutto è provvisorio, anche se questa provvisorietà dura ormai da parecchio tempo.
La struttura della società è familiare, intesa in senso ampio: in ogni tenda si incontrano zii, cugini, parenti, vicini, e tutti crescono i figli di tutti e mangiano insieme e condividono la propria giornata. All’interno di questo tessuto così affettivamente affiatato è impossibile perfino per noi non sentirci parte di qualcosa.
Ho terminato il diario di ieri raccontandovi del rito del tè, delle lunghe chiacchiere e dei lunghi silenzi che lo accompagnano. Siamo solo al secondo giorno ma mi sento di dire che sarà il leitmotiv incontrastato di tutta la settimana, il vero fulcro delle nostre giornate (e di quelle di tutti i Saharawi), lo strumento con cui ci si conosce e con cui si diventa parte della comunità.
Ma la giornata di domenica si è in realtà conclusa non con il rito del tè, bensì con la visita ad alcune famiglie di bambini disabili. Il nostro Marco, che è uno psicomotricista funzionale, seguirà durante questa settimana alcuni bambini svantaggiati.
Non voglio entrare in maniera particolareggiata nella descrizione di ciò che abbiamo visto. Mi interessa solo farvi riflettere su quanto sia difficile essere poveri, sul quanto sia difficile vivere in un Paese povero, sul quanto sia difficile vivere con un handicap di tipo grave, e sul quanto allora sia difficile vivere da povero in un Paese povero con un handicap di tipo grave. In un luogo dove non esiste l’acqua corrente, dove passa un’autocisterna a riempire delle botti ogni due settimane con acqua putrida; in un luogo pieno di mosche, dove il cibo che si mangia non è sano; in un luogo dove qualunque cosa tu faccia, qualunque posto tu occupi, ti troverai sempre e comunque coperto di sabbia (senza poterti lavare); in un posto dove di giorno fa maledettamente caldo e di notte maledettamente freddo.
La serata di ieri si è conclusa così: con la sensazione di essere inutili e di non poter far nulla per arginare tutto questo dolore, ma con la volontà di mettere in piedi qualche nuovo progetto che possa fare poco ma farlo sul serio.

E fu sera e fu mattina: terzo giorno.
Stamattina la giornata è cominciata al Centro Giovani, che è gestito da un gruppo di ragazze affiatatissime (nella foto di Looking4) e con tante idee. Una di queste idee è, per l’appunto, il corso di inglese, il progetto principale di Looking4 per quest’anno, e uno dei motivi per cui siamo qui. Il corso, che durerà vari mesi, sarà seguito da un docente del luogo, per cui il nostro compito oggi è stato essenzialmente di portare il materiale di cartoleria raccolto tra Sardegna e Toscana e di organizzare le prime battute. L’idea dell’associazione è, infatti, dove possibile, di formare qualcuno del posto che possa poi dare una continuità al corso, oltre che avere garantito un mestiere.
La disoccupazione è uno dei grossi problemi dei campi profughi dei Saharawi. È difficile inventarsi un lavoro in uno spazio geografico con così poche opportunità.
Il resto della giornata è trascorsa all’insegna dei bambini svantaggiati: durante la mattinata siamo stati accolti in un centro interno ad Auserd, totalmente gestito da donne, che accoglie i bambini affetti da disturbi cognitivi e li fa giocare per quattro ore tutti i giorni e poi, quando sono più grandetti, insegna loro un mestiere; durante il pomeriggio siamo invece usciti da Auserd e siamo andati a Bol-lah con un’auto messaci a disposizione dalla RASD. Qui abbiamo incontrato Rossana, una signora italiana che ha abbandonato tutta la sua precedente vita per trasferirsi in questo angolo di mondo e dare il via ad un centro di recupero per bambini con difficoltà motorie o psicomotorie.
Entrambe sono attività gestite con grande generosità da delle donne, si rivolgono ai più piccoli e ai più in difficoltà, e ci hanno scaldato il cuore. Soprattutto, ci hanno fatto riflettere sulla solidarietà che c’è tra queste persone, che non hanno niente eppure pensano a chi ha ancora meno di loro, con un’attenzione verso il tema della disabilità che in questa situazione non è banale.
Se a qualcuno interessassero maggiori informazioni sull’attività di Rossana, può guardare la pagina Facebook di Rio de Oro Onlus; se invece qualcuno volesse dare una mano all’attività del centro per i bambini disabili di Auserd, può dare uno sguardo alla pagina Facebook di Looking4.
E con questo vi saluto, ci aspetta il settimo tè della giornata.

Carola Farci

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