Guerra e rincari, l’allarme dei piccoli mulini: “Costi alle stelle, ma il grano sardo non basta”

Marzia Piga

di Marzia Piga

“Soltanto per l’energia arriveremo a pagare il 135 per cento in più. I costi dei materiali che servono per la produzione, per esempio i sacchi per confezionare gli infarinati per uso zootecnico o i mangimi, sono saliti di oltre il 70 per cento, senza contare che le consegne stanno slittando fino a 120 giorni, quattro lunghi mesi senza forniture”. Comincia così e potrebbe andare avanti a lungo la lista delle difficoltà pratiche e operative che stanno ostacolando in queste settimane il lavoro del Molino Carbini di Tempio Pausania, così come quello dei tanti operatori di uno dei settori che più sta subendo il contraccolpo economico del mix di guerra, rincari e speculazioni.

L’azienda, nata nel 1976 e portata avanti dall’omonima famiglia, produce farine di grano duro per la panificazione, e commercializza quelle di grano tenero, quelle d’orzo e le miste. Con il tempo ha affiancato all’offerta per l’alimentare, la produzione di mangimi e granaglie a uso zootecnico. Il suo mercato è la Sardegna, l’azienda ha meno di dieci dipendenti. Una realtà medio-piccola dell’Isola che nel tempo e con il lavoro si è costruita il suo giro d’affari regionale.

“Nulla a che vedere con i grandi industriali come Cellino – spiega Andrea Carbini, responsabile commerciale del Molino, che si definisce mugnaio, e seconda generazione nell’impresa familiare -. La nostra posizione è diversa, siamo più piccoli e ogni picco di prezzo ha ripercussioni pesanti sui nostri bilanci, ma prima ancora sul nostro lavoro. Con rincari e ritardi nei trasporti stiamo rischiando di non poter tenere fede ad alcuni ordini, la nostra fortuna è che per quanto riguarda l’alimentare abbiamo clienti sardi, serviamo in particolare il Nord dell’Isola ma arriviamo sino al Sud”.

Per Carbini l’idea di una autosufficienza nel settore cerealicolo in Sardegna non regge: “Sì al tentativo di aumentare le coltivazioni, anche utilizzando le terre incolte, ma un discorso autarchico in un mercato, prima di tutto europeo e poi globale, non può avere basi se i prezzi ormai vengono stabiliti alla borsa mondiale di Chicago”.

Molino Carbini Tempio

Il nodo è proprio questo: i prezzi. Sono le stesse dinamiche che due anni fa hanno mandato in tilt il sistema del latte ovino. Il grande gap tra i prezzi di mercato dei prodotti finali e il costo con cui si remuneravano le materie prime a chi le produceva. Così quando il prezzo del Pecorino Romano schizzava sul mercato, ai maggiori guadagni per gli industriali non corrispondeva simile aumento nella filiera degli allevatori e trasformatori. Con le storture e le speculazioni che ne sono derivate.

“Noi utilizziamo soltanto grano duro sardo per le produzioni alimentari, ma sono le quotazioni di quel grano a essere sempre più importanti e si va in difficoltà”, spiega. Il rischio poi è che quegli aumenti ricadano sui consumatori finali: “Stiamo vivendo alla giornata, non possiamo più programmare budget perché i prezzi cambiano di giorno in giorno, ormai si chiudono contratti con tariffe che durano solo poche settimane”, lamenta ancora Carbini. C’è poi l’altra faccia della medaglia. Nel settore dei mangimi il paradosso è che senza il mais che arriva dall’Ucraina i produttori e trasformatori come Carbini non possono rifornire gli allevatori che rischiano di non avere scorte di mangimi e dunque di compromettere le produzioni.

Marzia Piga

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