Sardegna Teatro è rimasto senza casa. Polemica per il bando sul Massimo

di Andrea Tramonte

Dopo undici anni Sardegna Teatro rimane senza una “casa”. Dal primo gennaio la cooperativa dovrà lasciare il Teatro Massimo di Cagliari in cui ha trovato spazio fin dalla riapertura dopo il restauro effettuato con fondi europei. Il problema è relativo al bando predisposto dal Comune per la gestione biennale dello spazio: Sardegna Teatro ha deciso polemicamente di non partecipare e ha mosso una serie di rilievi tecnici e politici spiegando pubblicamente le ragioni della sua scelta. “Non siamo stati coinvolti in alcun modo e i documenti evitano qualsiasi riferimento alla gestione più che decennale dello spazio”, spiegano dalla cooperativa. La delibera della Giunta, che detta le linee di indirizzo della gara, liquida l’esperienza attuale in questo passaggio: “Stante l’imminente scadenza del precedente appalto di concessione del Teatro”. La chiosa è inevitabile: “Abbiamo sentito disinteresse verso il Teatro di Sardegna, principale impresa privata culturale dell’Isola. Sembra non esserci alcun timore di perdere in questa città la nostra presenza, in totale controtendenza rispetto al ministero della Cultura – che ci considera il principale interlocutore regionale – attraverso riconoscimenti costanti: proprio in questi giorni è stata pubblicata la graduatoria delle azioni trasversali/tournèe estero e il Teatro di Sardegna è beneficiario di ben tre contributi su un totale di 21 azioni nazionali”.

In questi anni Sardegna Teatro ha ottenuto una serie di risultati rilevanti a livello nazionale e internazionale. Il caso di Macbettu di Alessandro Serra è forse quello più emblematico: 250 repliche in quattro continenti, numerosi premi tra cui quello Ubu nel 2018. È diventato nel 2015 un Tric – Teatro di rilevante interesse culturale, unico dell’Isola e riconfermato nel 2019. Lo spettacolo L’avvoltoio – sulla sindrome di Quirra – è stato replicato più di cento volte in tutta Italia. Ancora, la cooperativa è partner della prima scuola di drammaturgia in Italia, fa parte di due progetti europei di larga scala del Creative Europe stronger peripheries. Un curriculum di tutto rispetto che ha reso il Teatro Massimo di Cagliari uno spazio culturale di rilevanza nazionale, dedicato non solo agli spettacoli ma più nello specifico alla produzione culturale ad ampio raggio, attraverso anche la capacità di dialogare con diversi attori del territorio. Inoltre la Regione sta accompagnando Teatro di Sardegna verso un percorso che potrebbe trasformarlo nei prossimi anni in un Teatro nazionale: “Aspetto totalmente ignorato dal Comune di Cagliari”, dicono. E aggiungono: “Il Teatro Massimo è l’unico di proprietà comunale non chiuso. Nel 2019 – pre-Covid – ha avuto più di 900 aperture con iniziative di ogni tipo accessibili al pubblico. La gestione del Teatro di Sardegna del Massimo non ha temuto di lavorare in eccesso, offrendo così gli spazi alle associazioni, ai festival, alle presentazioni di libri, alle lezioni di storia, incontri di filosofia, proiezioni cinematografiche, casting per attori, convegni, laboratori, workshop e moltissimo altro che ha contribuito a delineare l’identità del Teatro Massimo come quella di polo culturale della città”.

Ma più nel dettaglio, perché la cooperativa diretta da Massimo Mancini ha deciso di non partecipare? “Il bando mostra subito difetti formali e soprattutto di trasparenza molto gravi”, dicono, facendo riferimento ad alcuni errori marchiani, a copia incolla che citano l’ex Vetreria di Pirri, all’incognita della gestione del bar che sarà oggetto di una gara successiva, ai problemi di agibilità, dotazioni tecniche e così via. Ma oltre agli aspetti tecnici, Sardegna Teatro contesta le indicazioni di politica culturale contenute nel bando, “Laddove la cultura è intesa come mainstream che genera utili e che viene valutata in virtù di meri criteri quantitativi. Un bando che pesa l’azione culturale in termini solo di profitto tradisce il ruolo della politica nei territori. Presentato come bando sperimentale, a nostro avviso non ha nulla per essere definito tale. Ha paletti e recinto ben definiti”. L’articolo 1 specifica che la principale finalità è quella del “trattenimento” e l’articolo 1 fa “divieto di sublocazione della struttura”. Le conseguenze – per Sardegna Teatro – sono chiarissime: “Viene totalmente eliminata la natura di teatro come produttore di spettacoli e contenuti artistici, nonché di teatro aperto, crocevia della città che è stata al centro del precedente bando”.

Il risultato è che, applicando il bando alla gestione passata, Sardegna Teatro non avrebbe “mai potuto produrre il Macbettu, L’Avvoltoio (Premio Enriquez), Sonnai con i senza dimora di Cagliari, l’emergente Valentino Mannias, l’ultimo lavoro di Lucia Calamaro che ha appena debuttato a Spoleto, e molti altri spettacoli che vedono impegnati più di 200 artisti all’anno. Non ultimo, in questo momento nella sala grande, è in prova il lavoro di Matteo Sedda, coreografo cagliaritano che lavora con Jan Fabre. Sono nati in questa sede progetti di cooperazione internazionale e locali, una rete dei festival del territorio, collaborazioni al solo scopo di condividere prospettive, possibilità, sogni. Ci siamo dunque trovati di fronte a un bivio: da un lato la possibilità di candidarci a gestire una quantità di spettacoli di “trattenimento”, rinunciando così a produrre i prossimi Macbettu, L’Avvoltoio, Sonnai… dall’altra la scelta di reinventarci ancora. Abbiamo scelto di rischiare di essere nomadi, ma di non rinunciare a produrre quel teatro d’arte capace di rappresentare la Sardegna in tutto il mondo”. Al Comune la richiesta – tra le altre cose – di individuare un percorso alternativo che possa garantire a Cagliari la presenza del Teatro di Sardegna, e di tutelare i lavoratori legati al Massimo che rischiano di non avere più un lavoro.

 

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