Pattada, non solo ‘resolza’. Fogarizzu: “Faccio coltelli fuori dalla tradizione”

Le forme dei suoi lavori non ricordano in nessun modo quelle della resolza, il tradizionale coltello sardo. Eppure se uno conosce il suo nome, sa dove vive e quello che fa tutti i giorni penserebbe automaticamente a quello: a un maestro della pattadese. Antonio Fogarizzu in questo senso è un artigiano atipico. È un coltellaio di Pattada che – pur essendo erede di una tradizione importante e riconosciuta – produce manufatti che con quella storia non hanno nulla a che vedere. Nelle forme, nei materiali, nelle finiture. “Ho imparato da giovanissimo a fare coltelli tradizionali, visto che la mia famiglia li ha sempre fatti – racconta Antonio -, ma mi son voluto allontanare da quel percorso. Realizzarli sarebbe come andare in ufficio e fare la stessa cosa tutti i giorni. Ho bisogno di sperimentare sempre cose nuove: è così che mi mantengo vivo”. La sua capacità di innovare lo ha portato a ottenere riscontri importanti a livello internazionale. Solo qualche settimana fa uno dei più importanti siti al mondo sul design – designboom.com – gli ha dedicato un ampio servizio, e anche il cinema si è accorto di lui: un suo coltello “futuribile”, fatto su misura per il film, è comparso in un thriller sci-fi diretto da Eddie Alcazar e prodotto da Steven Soderbergh.

Antonio Fogarizzu, artigiano di 48 anni, ha realizzato il suo primo coltello quando aveva 14 anni ma da ragazzino escludeva categoricamente di voler intraprendere il percorso di famiglia. Ha respirato l’aria di bottega, lavorato gomito a gomito col padre Salvatore per anni e imparato a trattare i materiali e usare gli attrezzi. Eppure – forse complice un po’ di irrequietezza giovanile – sentiva di volere altro dalla vita. “Dopo il diploma sono andato via dall’Isola e mi sono trasferito a Londra, per imparare la lingua e soprattutto per cercare altre strade. Poi ho iniziato a lavorare per una compagnia aerea. Quando le cose lì hanno iniziato a mettersi male, ho deciso di lasciare il lavoro e riniziare quello della mia famiglia”. I contratti a termine all’interno della compagnia gli consentivano di tornare a Pattada e passare del tempo nel laboratorio del padre. Antonio ha iniziato a sperimentare durante quelle pause forzate, in quelle parentesi tra un contratto e l’altro.

Se le fondamenta del lavoro le ha apprese facendo gavetta in famiglia, il resto lo ha imparato da autodidatta. “Quando ho iniziato a fare le prime prove, lontane dal lavoro che avevo sempre visto fare a casa, non avevo dei punti di riferimento e ho dovuto fare tutto da me”, spiega. La scintilla è scattata quando un collezionista che frequentava la bottega del padre gli ha fatto vedere una serie di coltelli provenienti da tutto il mondo. È stata una folgorazione: la scoperta di forme diverse, sconosciute, che gli hanno mostrato una strada nuova da percorrere. “All’inizio ho cercato di fare qualcosa di simile a quei lavori, sia per i materiali sia per le forme. Nel corso del tempo ho iniziato a mettere a punto il mio stile personale”. Ormai la strada era tracciata: lontanissima dalla tradizione della resolza. “Ho sempre pensato che non sarebbe stato il nome Sardegna o Pattada o Fogarizzu a farmi vedere i miei progetti, ma la qualità. Ho sempre puntato solo su questo. Nei miei coltelli non scrivo Pattada e la mia firma è illeggibile. Punto tutto sul prodotto. La tradizione non mi interessa”.

I suoi coltelli sono minimalisti, caratterizzati da forme geometriche e squadrate. Le finiture sembrano piccoli mosaici e si basano su pattern intricati dalle forme variabili: gli elementi ricorrenti sono rombi, fiori, cerchi o geometrie più articolate. “Ora tendo a usare principalmente carbonio, madreperla, oro: materiali stabili che non subiscono gli effetti degli agenti atmosferici. Non mi piacciono i materiali che si muovono una volta lavorati, anche perché questo influisce sul funzionamento del manufatto: il coltello deve funzionare perfettamente e non tornare indietro per ulteriori modifiche o aggiustamenti”. Fogarizzu disegna a matita e poi, quando individua la forma più congeniale per il coltello che ha in mente, trasferisce tutto al computer in modo da misurare con precisione la forma e le dimensioni dell’oggetto. “Cerco di sottrarre, di pulire, di far apparire i coltelli più semplici anche se non lo sono”. Nei suoi coltelli risaltano gli abbinamenti di colori inusuali, almeno ragionando secondo il metro del coltello tradizionale. “Cerco di alternare i colori e i materiali. Se l’impugnatura è in acciaio il resto non lo è, anche per far apprezzare la differenza di livelli all’interno dello stesso coltello. Ogni manufatto ha vari tipi di finitura: lucido, a specchio, satinato, martellato, in modo da far risaltare forme e materiali”.

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L’artigiano disegna il coltello e lo realizza senza scendere a compromessi rispetto a quello che vuole il cliente. “Può chiedere al limite di cambiare piccoli particolari: madreperla bianca anziché era, ad esempio. Mai la forma. E in ogni caso l’ultima decisione spetta a me perché non produco coltelli che non mi piacciono. Per fortuna non ho mai avuto problemi e negli ultimi anni i clienti hanno iniziato ad affidarsi totalmente al mio gusto, alla mia scelta, al mio estro”. Di ogni forma Fogarizzu realizza dieci esemplari, ma ognuno con dettagli e dimensioni diverse, in modo da produrre solo pezzi unici. “A volte ho fatto disegni e forme che andavano contro i miei interessi”, racconta l’artigiano. “All’inizio mio padre mi ha preso per un folle. Ho passato mesi interi a fare prove e a sbagliare. Il mio lavoro era un continuo sperimentare e lui questa cosa non la concepiva. Secondo lui perdevo tempo e avrei dovuto continuare a fare coltelli tradizionali. Ma ho fatto quello che mi sentivo di fare”. La scelta, in ogni caso, ha pagato. Ora Fogarizzu vende in tutto il mondo: principalmente negli Stati Uniti, dove si concentra la fetta maggiore del suo mercato, ma ha clienti anche in Cina, Giappone, Russia. Non in Sardegna dove, nonostante il nome immediatamente associabile al coltello, il suo lavoro è ancora poco conosciuto.

Un fotogramma del film di Alcatraz con il lavoro di Fogarizzu

Di recente è stato contattato dal regista Eddie Alcazar per realizzare un coltello futuribile che è l’arnese al centro di Perfect, film di fantascienza prodotto da Soderbergh. “Mi ha scritto il regista e all’inizio ho pensato a uno scherzo. Poi mi ha scritto anche l’assistente e allora ho risposto. Non è stato semplice portare a termine il lavoro. Il regista non sapeva bene come si fanno i coltelli e alcune richieste erano difficili da accogliere. Ma alla fine siamo riusciti a ottenere un risultato che si sposava bene con le esigenze del film”.

Fogarizzu attualmente riesce a produrre in media un coltello al mese. “I progetti più complessi sono i prototipi: stai costruendo una cosa nuova e non sai bene dove andrai a parare. A volte occorre fare i pezzi due, tre volte, modificarli finché non riesci a ottenere il pezzo che funziona in modo perfetto. Ora è da qualche mese che sto provando e riprovando alcune finiture diverse. Non sono un artigiano che ha fatto una cosa, ha visto che funziona, va bene e continua a farla sempre nello stesso modo. Cerco nuovi materiali, nuovi meccanismi, nuove forme. E sempre nuove ispirazioni ovunque”.

Andrea Tramonte

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