Marco Zurru, il sociologo sardo che in un libro stronca Renzi. E difende gli asili pubblici

È scritta nell’ultimo libro di un sociologo sardo la stroncatura al bonus bebè di Matteo Renzi: il testo è del sociologo Marco Zurru.

È scritta nell’ultimo libro di un sociologo sardo la stroncatura al bonus bebè di Matteo Renzi, già sperimentato senza successo dal governo Berlusconi. Asili nido e qualità del servizio: questo il titolo del testo pubblicato su Ediesse e curato da Marco Zurru, associato di Sociologia Economica nella facoltà di Scienze Politiche all’università di Cagliari.

Zurru parte da un presupposto, dimostrato dalla letteratura scientifica: “Quando un bambino frequenta il nido – spiega -, il suo capitale umano si sviluppa con più ricchezza rispetto ai coetanei a cui questa possibilità è negata”. Eppure gli 80 euro da destinare alle famiglie si muovono in direzione opposta, perché “monetizzano l’educazione anziché migliorare i servizi“. Di qui l’analisi delle strutture educative pubbliche per l’infanzia aperte a Cagliari, un percorso che vale un altro vuoto sociale non colmato, ovvero la prevalenza di asili privati. Un tema – stavolta riferito alle materne – di strettissima attualità nell’Isola, per via delle polemiche seguita ai 18 milioni di euro assegnati alle strutture non pubbliche dall’assessore Claudia Firino, come raccontato da Sardinia Post.

È articolata in 215 pagine la bocciatura di Zurru al bonus bebè, “una vera e propria abdicazione dal welfare“, osserva il professore. Infatti: “I bambini che fin da piccoli frequentano un childcare, sviluppano anche una maggiore capacità di ascolto e di concentrazione nello studio”. Provata pure l’incidenza “sulla creatività nel gioco e nella didattica, così come nello stabilire relazioni amicali e di cooperazione”. Per questo, “non si capisce come mai a queste positività non si accompagni la ridefinizione dell’agenda politica, nel senso dell’investimento sull’estensione e l’innovazione dei servizi pubblici, un settore per il quale l’Italia destina solo l’1,5 per cento del suo Pil, mentre la media europea è del 2,6″.

Ci sono molti altri numeri nel libro di Zurru e tutti sembrano portare “all’incapacità delle istituzioni di cogliere il valore che gli asili hanno non solo sul benessere fisico e pedagogico dei bambini, ma sulla società tutta”. Il sociologo fa notare: “Perpetuare la delega dell’accudimento alle famiglie e, in particolare, alle donne, comporta per le mamma una sempre maggiore difficoltà a entrare nel mercato del lavoro, o a rimanerci, nel caso capiti il lieto evento durante un contratto precario”. Quindi il circolo vizioso innescato, che spiega pure la bassa natalità, sarda e italiana: “Fare figli – va avanti il professore – costa sia finanziariamente che in termini di tempo sottratto ad altre attività, quelle remunerate in primis, come un’occupazione. Ecco perché, senza la presenza di un tessuto di servizi all’infanzia, la rinuncia alla maternità come scelta obbligata”.

L’Isola, al pari del resto del Paese, risulta dunque avvitata in un paradosso che finora le istituzioni, a nessun livello, hanno saputo rimuovere, “malgrado un’esperienza positiva che nel biennio 2007-2009 si è tradotta nel Piano straordinario per l’infanzia: con un miliardo di investimento, si è arrivati a un’implementazione di 55mila posti negli asili pubblici, a fronte della previsione iniziale da 40mila”.

Il cammino, però, si è esaurito lì, per essere di nuovo preferito a soluzioni di mercato. “Esternalizzare i servizi, affidando sempre più la cura per l’infanzia alle strutture private, se da un lato ha prodotto risparmi per la pubblica amministrazione, per un altro verso ha spesso portato a un detrimento delle condizioni di lavoro del personale impiegato a vario titolo nelle strutture private. In generale la Sardegna – dice ancora il sociologo – è una delle regioni italiane che gestisce peggio l’inserimento nelle scuole pre-infanzia statali e comunali, con appena il 12 per cento di bambini presi in carico. Si tratta – chiarisce Zurru – di una percentuale molte distante dall’obiettivo che l’Unione Europea aveva indicato a Lisbona nel 2002, prevedendo che le strutture pubbliche accogliessero, entro il 2010, il 33 per cento dei bambini sotto i tre anni”. La soglia è stata superata dalla Francia, al 43 per cento. L’Inghilterra è invece al 26. Ma davanti all’Italia c’è pure la Spagna, i cui nidi pubblici coprono il 17 per cento del fabbisogno.

Per Zurru, “il nostro Paese, conti alla mano, non dimostra di crederci abbastanza nell’investimento formativo per l’infanzia: l’Italia è uno dei pochi paesi Ocse che non dispone nemmeno di un sistema universalistico di assegni per i figli, ma prevede solo quelli familiari, come avviene anche in Spagna, in Portogallo e in Grecia”.

Da Cagliari parte dunque l’appello a Renzi, “perché rifinanzi il piano straordinario per l’infanzia, anziché inseguire la dannata via della monetizzazione educativa, un peccato originale che dimostra l’assenza di una visione organica nell’approccio alla programmazione”.

Al. Car.
(@alessacart on Twitter)

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