L’architetto che lavorava da Zaha Hadid: “Il Betile? Un’opportunità per Cagliari”

di Andrea Tramonte

Sarebbe dovuto essere il museo dedicato all’arte nuragica e a quella contemporanea, uno spazio iconico in grado di riqualificare un tratto prezioso della città – il lungomare di Sant’Elia – e allo stesso tempo diventare un attrattore turistico di alto livello, come già avvenuto per architetture ed edifici analoghi in grado di fissarsi nell’immaginario collettivo. Sappiamo com’è andata: il Betile alla fine non è mai nato. Il progetto lo aveva creato Zaha Hadid, archistar irachena scomparsa nel 2016 a 65 anni. Il bando internazionale da 40 milioni di euro era stato lanciato dalla Giunta regionale – guidata da Renato Soru – e avevano partecipato alcuni dei migliori architetti al mondo (Massimiliano Fuksas, Herzog & De Meuron…). “Il mio museo è stato concepito come parte del paesaggio, senza distacchi – dichiarò l’architetta a Cagliari -. Così come i modernisti erano stati influenzati dall’arte antica, anch’io sono stata influenzata dall’arte classica in combinazione con l’arte del futuro”. Un museo bellissimo pensato come “concrezione corallina”, in grado di delineare un nuovo skyline della zona e pensato per essere un grande nodo di scambio culturale, connettendo la città non solo con musei e monumenti archeologici del territorio, ma anche con la cultura internazionale. Un peccato.

Negli ultimi mesi il tema è tornato d’attualità e si è animato un vivace dibattito sull’opportunità di recuperare il progetto. Il sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu, in occasione dell’approvazione della variante urbanistica al Piano guida per Sant’Elia, ha dichiarato in Consiglio comunale che il Betile si potrebbe riproporre. Lo scrittore Marcello Fois, intervenendo ne La Nuova Sardegna, ha colto la palla al balzo proponendo di spostare il progetto a Porto Torres per riqualificare un luogo che paga un prezzo alto al “fallimento del sogno dell’industrializzazione”. La settimana scorsa è stata l’ex assessora alla Cultura della Giunta Soru, Maria Antonietta Mongiu, a rilanciare il tema sulle pagine dell’Unione Sarda, esortando il sindaco a “Ripartire per oltrepassare le paure, pensando in grande. Coraggio Sindaco, Cagliari lo ha sempre fatto. Ecco perché c’è urgenza del Betile”.

Pierandrea Angiusleggi la nostra intervista – è un architetto cagliaritano 41enne che ha lavorato per 11 anni (dal 2010 al 2021) nello studio di Zaha Hadid a Londra e ha avuto modo di conoscere dall’interno il progetto del Betile. “Sono entrato nello studio quando il museo era già stato progettato ma mi sono subito messo a disposizione nel caso ci fosse necessità di un contatto locale”, racconta a Sardinia Post. Il suo giudizio sul Betile è ampiamente positivo e rivela un grande rimpianto per quello che sarebbe potuto essere. “Un’idea fantastica e visionaria. Aveva una visione ampia e un carattere proiettato sul piano internazionale – spiega -. Avrebbe potuto stimolare una serie di eventi culturali e di attività di contorno che sarebbero stati importantissimi non solo per Cagliari, ma per l’Isola tutta. Non credo ci sia mai stato in Sardegna un progetto di tale portata ed è un peccato che non si sia portato a termine”. Angius condivide l’idea di poterlo recuperare con i dovuti accorgimenti per aggiornarlo. “Il Betile era nato per Cagliari, in determinato periodo storico e in una determinata zona. Bisognerebbe pensare in grande, come avvenne in quegli anni, ma riconfigurandone la strategia, capire come ricollocare quell’idea, quel seme, in un contesto come quello attuale. Dopo 15 anni è difficile pensare al progetto in modo identico, per motivi culturali e anche sul piano tecnico, normativo e programmatico. I musei si evolvono, sono la fotografia di un tempo”. Del resto la zona di Sant’Elia ha subito delle trasformazioni negli ultimi anni e – giusto per fare un esempio – i lavori per riqualificare il Padiglione Nervi sono quasi ultimati, insieme all’area verde intorno all’edificio inaugurata di recente. Recuperare il Betile significherebbe fare i conti con i cambiamenti recenti, per adattare la strategia del museo alle nuove esigenze del territorio. 

Da Zaha Hadid ci fu delusione quando il progetto si interruppe. “Era un periodo importante per lo studio e si passò da 50 a 200 persone. C’erano fiducia e ottimismo. Se se un progetto si blocca così drasticamente si perde la fiducia nella possibilità di completarlo. Secondo me, se la città decidesse di far ripartire il progetto, lo studio incaricato affronterebbe la nuova sfida con entusiasmo”. Quando si parla di Betile si fa spesso l’esempio del Guggenheim di Bilbao, inteso come museo iconico in grado di attivare dinamiche virtuose nel luogo dove è situato e diventare una attrazione a livello internazionale. “In passato si è fatta molta attenzione all’edificio come oggetto scultureo con una caratteristica formale molto forte – precisa Angius -. Oggi ci sono sensibilità differenti, per esempio più cura della sostenibilità e dell’integrazione con il verde, e in generale un’idea differente rispetto alla vita, al lavoro, al contesto della ricreazione e della fruizione della cultura. Un progetto così importante si può fare ancora ma adattandosi ai nuovi trend, alle nuove necessità e ai nuovi vincoli. Il museo di Bilbao ha funzionato molto bene ma quel seme non si può impiantare in un altro terreno decontestualizzandolo”.

Ma con i dovuti accorgimenti uno spazio dall’identità marcata come il Betile avrebbe un impatto enorme sulla città e sulla sua proiezione a livello internazionale. “Se l’edificio è iconico ha una capacità trainante enorme e può essere in grado di attrarre turismo culturale importante, innescando poi una reazione a catena valorizzando i siti archeologici e i piccoli musei distribuiti nel territorio. Il Guggenheim ha funzionato come icona a se stante – ci sono poche cose intorno – e non hai la percezione che sia parte di un sistema, che offra delle connessioni. Il progetto a Cagliari dovrebbe essere nodo di una rete. Abbiamo nell’Isola una quantità di siti archeologici che è incomparabile rispetto al resto d’Europa. Il Betile dovrebbe quasi obbligare il fruitore a capire che quello è un contenitore in grado di stimolare nuove attività artistiche e culturali ma anche essere una tappa di un sistema più ampio, catapultarti in un network di siti archeologici che rappresentano uno dei valori più alti di quello che possiamo offrire come sardi. Non bisognerebbe puntare solo sul Betile, insomma, ma creare un museo che sia totalmente rivolto all’esterno”. Ora Angius ha lasciato lo studio londinese per un altro lavoro prestigioso presso una importante casa automobilistica, ma se ne avesse la possibilità gli piacerebbe senz’altro lavorare al Betile. “Da cagliaritano sarei più che felice di poter collaborare, in qualsiasi modo – dice -. Sarebbe un progetto davvero importante per l’Isola che amo”. 

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