Da Cagliari allo studio di Zaha Hadid: leggerezza e gravitas di un architetto

Il suo ultimo lavoro è un edificio a Città del Messico che andrà a trasformare in maniera importante lo skyline della zona di Santa Fe, quartiere ricco e dinamico dove si trovano tre università e le sedi regionali di aziende come Apple, Amazon, Microsoft e Sony. “La Bora Residential Tower sarà completata nel 2021 ed è destinata a diventare il palazzo residenziale più alto della città e uno dei più alti in tutto il Sudamerica: un lavoro fortemente iconico”, racconta l’architetto sardo Pierandrea Angius, che da quasi quattro anni segue il progetto per lo studio in cui lavora, uno dei più importanti e prestigiosi al mondo: quello di Zaha Hadid, una vecchia conoscenza nell’Isola per via della straordinaria occasione mancata del Betile, il museo cagliaritano progettato da lei e poi mai costruito. La torre messicana è uno degli ultimi edifici a cui ha lavorato la celeberrima architetta irachena prima della scomparsa, avvenuta nel 2016. Un lavoro imponente. E l’architetto sardo è responsabile dell’intero progetto.

Pierandrea Angius è nato a Cagliari 39 anni fa ed è entrato a far parte dello studio nel 2010, culmine – per ora – di una carriera che lo ha visto bruciare le tappe. Si è laureato al Politecnico di Milano e ha conseguito un dottorato in Tecnologia delle costruzioni, ha lavorato per uno studio italiano, One Works, e poi ha deciso di trasferirsi a Londra per crescere professionalmente e continuare a studiare. Lì ha ottenuto un master all’Architectural Association dove, poco dopo, ha iniziato a insegnare. All’università c’è stato l’incontro decisivo del suo percorso, quello con Patrik Schumacher, storico partner professionale di Zaha Hadid: dal lavoro in studio a quello con lui come assistente il passaggio è stato breve.

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Ricerca accademica e lavoro quotidiano di progettazione sono i due cardini del percorso di Angius: si alimentano a vicenda. “Fin dall’inizio sono stato esposto al modello educativo e lavorativo di Zaha: un metodo progettuale guidato da un desiderio inesauribile di ricerca, dalla volontà di superare le barriere delineate da pregiudizi e convenzioni”. Di Zaha ricorda in particolare modo il carisma, la sua capacità di trasmettere una metodologia e una visione. “La sua capacità di guardare sempre oltre e non accontentarsi mai”. Ciò che lo ha attratto di più del lavoro dello studio (“quasi risucchiato”) è proprio la capacità di stimolare e promuovere la ricerca progettuale a tutto campo. “Le interferenze e le magie prospettiche delle rappresentazioni visionarie di Zaha nascono da costruzioni geometriche rigorose e procedure ricorrenti e riconoscibili”, spiega Angius. “Nel corso degli anni ha dato vita a un linguaggio che si è evoluto con coerenza, una sintassi che ha permesso di immaginare e costruire dei mondi possibili, infiniti sogni in bilico tra leggerezza e gravitas”.

Bora Residential Tower, Città del Messico

In studio l’architetto cagliaritano entra in tutte le fasi del lavoro. “Ho iniziato con una specializzazione indirizzata verso la gestione e la progettazione di facciate complesse su grande scala e sullo sviluppo parametrico e procedurale, che è il tema di cui mi occupo anche a livello accademico. Ora gestisco i progetti anche nella fase del concept, nella fase finale e nella supervisione artistica”. Ad esempio, nel caso della cosiddetta torre Hadid a Milano – la torre Generali pensata nell’ambito del progetto CityLife, indirizzato alla riqualificazione della zona dell’ex Fiera – Angius ha seguito la direzione artistica del podio commerciale, definito da geometrie curvilinee generate dall’intersezione sfalsata di tre assi urbani. E ha seguito altri progetti importanti come l’Esfera City Center a Monterrey, in Messico, il Morpheus Hotel a Macau, in Cina, la Bbk Bank a Bilbao, in Spagna, lo Sky Soho a Shanghai e il New Century City Art Centre, a Chengdu in Cina.

A livello accademico – all’Architectural Association School of Architecture e al London Design Studio of the University of Pennsylvania – Angius si occupa di progettazione parametrica e generativa. Un tema abbastanza complesso per i non addetti ai lavori. “È un sistema che permette di generare, attraverso dei software, delle variazioni infinite della stessa costruzione geometrica. Il progettista definisce un punto di partenza, delle regole, per poi sviluppare infinite soluzioni ipoteticamente tutte diverse, a volte anche imprevedibili. Per fare un esempio, la crescita di un albero è determinata da regole definite dal suo Dna. Quelle regole sono capaci di adattarsi al contesto: quantità di nutrienti, sole, il suo orientamento. Anche nella progettazione di un edificio possiamo procedere così in relazione a delle performance: come vogliamo che siano la facciata o gli interni, per esempio, in relazione a determinate condizioni ambientali, come l’esposizione solare, il vento, la vista. Adatti quelle caratteristiche come l’albero cerca di adattarsi a quelle del terreno e all’esposizione solare. È come se tu, progettista, avessi una mappatura dei nutrienti dell’albero e di tutte le caratteristiche che andranno a definire la sua crescita. In base a determinate esigenze puoi cambiare queste caratteristiche a seconda di quello che vuoi ottenere”.

Angius ormai non vive in Sardegna da quando aveva 18 anni ma la saudade, dice, è sempre molto forte. “La mancanza c’è, il sogno di tornare pure, e sarebbe bellissimo riuscire a fare qualcosa a Cagliari”. È un vero peccato che quel sogno sia stato per certi versi possibile prima ancora di pensare di volerlo esaudire. Per un architetto, cagliaritano, e che lavora da Zaha Hadid, l’idea di non aver visto nascere il Betile è una delusione ancora maggiore. Come è noto, si sarebbe dovuto trattare di un museo dedicato alla Sardegna nuragica e all’arte contemporanea in riva al mare nel quartiere di Sant’Elia. Il progetto fu approvato nel 2006 ma si arenò a causa dello scontro tra Regione e Comune di Cagliari. Nel 2008 venne definitivamente accantonato. “Il progetto del museo è stata una occasione mancata per Cagliari e la Sardegna – dice Angius – . Un progetto di quella portata avrebbe generato interesse a livello internazionale, promuovendo la storia e  la cultura dell’Isola e dando visibilità alla città anche a livello turistico. Sarebbe diventato un punto di riferimento per la storia e le culture del Mediterraneo. Il Betile sarebbe stato in grado di innescare anche nel contesto urbano del quartiere dei meccanismi virtuosi e rigenerativi. Non sarebbe stato solo una icona culturale, ma contenitore di attività a favore della comunità locali, in grado di dare vita a nuove reti sociali. Un punto di riferimento forte, un faro culturale. Un’occasione mancata, appunto, ma che può e deve ripresentarsi in futuro”.

Andrea Tramonte

Betile

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