IL RITRATTO. Il pianista Bussu, enfant prodige: “Le note non sono la musica”

Un ragazzo normale, con la passione per il pianoforte. Si chiama Sebastiano Bussu, ha diciotto anni. Le sue dita volano sui tasti bianchi e neri come fossero nate per fare solo quello. Una vita, la sua, già dedicata e promessa al pianoforte. Viene da Oristano, figlio di padre barbarcino, vetraio, e madre oristanese, casalinga. Primo di tre figli, ma con un talento fuori dal comune che stupisce. La prima fu l’insegnante, Alessandra Medde, che dopo cinque anni di docenza con lui chiamò Maurizio Moretti, concertista di fama internazionale, insegnante del Conservatorio di Cagliari e della ‘Schola Cantorum’ di Parigi. Dopo averlo sentito Moretti ne diventa mentore. Lo chiama al Conservatorio ‘con riserva’ – “data la sua età e le sue doti straordinarie”, ci dice – e lo propone alla scuola internazionale di perfezionamento Parigi: “Impeto e voglia di fare sono incontenibili a volte”, ci dice. E Sebastiano non lo delude.

Già all’età di dodici anni, nel 2010, aveva vinto il primo Premio assoluto al concorso nazionale “E. Zangarelli” Città di Castello. L’anno dopo si ripete nello stesso concorso con due Premi: primo Premio come solista e primo premio in duo. “Quando ho vinto quel Premio ho capito per la prima volta che nella mia vita avrei voluto fare il pianista” dice. “La musica ripaga di tutti i sacrifici che lo studio impone.” Nel 2012 vince il primo Premio internazionale “European music competition” di Mocalieri. Poi altri premi, altre segnalazioni importanti.
Una maturità classica da conseguire, un impegno nella vita privata già chiaro. Sebastiano ammette le difficoltà di questo tipo di studio. I sacrifici, dire di no agli amici per altre attività che pure lo interessano: “Tutto sta nello scegliere gli amici giusti” – dice -. “Quelli che poi ti richiamano”. A questo si aggiunge la pressione dell’impegno costante, che lo proietta adesso su palcoscenici internazionali. Ma il suo sorriso e la sua contentezza tradiscono il suo l’amore per la musica.

Foto Gabriella Carta
Foto Gabriella Carta

Ha iniziato a studiare pianoforte a otto anni. Per caso la scuola elementare mise a disposizione dei corsi serali. Non avrebbe potuto immaginare che quello che per lui sembrava un gioco diventasse poi una cosa seria. Un inizio ‘decisivo’ per la sua carriera, dice oggi. La sua giornata è organizzata in base alle scelte che ha deciso di perseguire. Per il resto un ragazzo normale, perfettamente integrato con gli amici. Ha una predilezione per Chopin, più vicino dal punto di vista emotivo ed interpretativo. “Richiede uno sforzo di concentrazione particolare, perché alternano stati emotivi opposti. Si passa in pochissimo tempo da momenti melanconici ad altri molto energici, da suonare con furore”. Prima dei concerti, confessa, si sente pieno di adrenalina, gli battono i piedi, ma sa che deve salire sul palco e tirare al massimo: “Suonare in pubblico è come essere immersi nella foresta e difendersi dalle belve selvagge”. Ricerca la concentrazione non pensando tanto a come li suonerebbe lui, ma piuttosto come li suonerebbe un’orchestra. “Questa è la cosa più importante per un musicista. Non sono le note, certamente ci devono essere, ma le note non sono la musica. La musica la fa il musicista. Con la sua concentrazione, con l’esperienza nel condurre la frase musicale. Proprio come farebbe un direttore d’orchestra”. Da grande vorrebbe vivere di musica. Il suo sogno è viaggiare in tutto il mondo, vivere all’estero. Stare in contatto con altre culture, crescere professionalmente e umanamente. A Nuoro è andato in scena la seconda serata del Festival pianistico 2016 organizzato dall’Ente musicale, con il talento russo Artur Haftman.

Davide Fara

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