Giorgio Melis: In memoria di un grande magistrato, Antonio Porcella

La terra non potrà mai essere abbastanza lieve sulle spoglie di Antonio Porcella, grande magistrato e personaggio di forte caratura umana e culturale, spentosi a Cagliari l’altro ieri. Niente potrà compensare la durissima realtà. In vita la terra gli è stata greve come un sudario di pietra. Lo ha quasi schiacciato e infine schiantato, colpendo lui e la sua famiglia negli affetti più teneri e fondamentali. Recisi con le vite dell’unico figlio maschio di 12 anni e di una delle due figlie alcuni anni dopo. Vale per lui quella disperante constatazione di Luigi Pintor, che stimava Porcella come amico, riassunta in suo libro dopo aver perso i due figli: “Il male ha una fantasia illimitata”. Conoscevano la sua angoscia e quella della moglie Mave i tanti amici, magistrati, avvocati, professionisti che a Porcella hanno dato l’addio nella chiesa di S.Sebastiano. Un incredibile bunker tutto di cemento, dove progettisti senza qualità e amministratori privi di ogni gusto continuano a rinserrare il Vangelo dentro fortilizi angoscianti: e le chiamano chiese. Le belle parole dell’officiante hanno solo un poco attenuato il senso di claustrofobia suscitato dall’uniformità grigia del calcestruzzo.

Antonio Porcella aveva ottant’anni ma aveva cominciato a morire da tempo, ben prima che concludesse la sua esistenza. Importante e tormentata. Segnata da grandi traguardi professionali ed umani raggiunti con la forza del suo impegno e del suo rigore. Sofferta per i terribili lutti che la vita ha inflitto a lui e alla famiglia, a una moglie solare che riversava un impegno quasi missionario ma sorridente e generoso nell’insegnamento e nelle attività sociali per ragazzi e giovani. Antonio Porcella non era il magistrato da vetrina, ribalta mediatica e televisiva, benché la sua cifra professionale gli avrebbe permesso di emergere in ogni confronto e dibattito. Semmai l’opposto. Accettò di esporsi, con altri colleghi in ruoli apicali, quando la disamistade del caso Manuella esplose al Palazzo di giustizia, squassando come una tempesta velenosa la comunità in toga; soprattutto magistrati ma anche molti avvocati di lungo ed eccellente corso, poliziotti e carabinieri coinvolti nelle indagini, giornalisti.

Su quella terribile vicenda, il Palazzo si spaccò come mai era accaduto prima, in una querelle astiosa e tossica fra i sostenitori della colpevolezza di Aldino Marongiu e di altri avvocati arrestati e imputati dell’uccisione del’avvocato Gianfranco Manuella, personaggio con non pochi torbidi precedenti, e quanti fra i magistrati e gli inquirenti sostenevano la loro innocenza. Si sviluppò una vera e propria guerra che mise gli uni contro gli altri magistrati e avvocati che erano stati fino a quel punto in perfetta sintonia, fino a compromettere astiosamente rapporti personali consolidati. La disamistade continuò per anni, sempre asperrima, anche dopo il clamoroso verdetto che mandò assolti tutti gli imputati, sciogliendo come neve al sole le tesi dell’accusa. Prima del verdetto, le tensioni nella comunità in toga indussero alcuni magistrati fra i più qualificati a un’iniziativa senza precedenti. Una serie di interventi sull’Unione Sarda, anche sollecitati dallo stesso giornale, per far uscire la vicenda dai veleni dei corridoi di piazza Repubblica e informare direttamente l’opinione pubblica, frastornata da una vicenda drammatica e insieme enigmatica. Antonio Porcella, purtroppo reduce dal primo dei suoi grandi lutti, fu tra i magistrati che si esposero in prima persona, sfidando la strategia del rifiuto e del silenzio del campo avverso. Poteva ben farlo.

Era stato fra i fondatori di Magistratura Democratica al fianco di Marco Ramat, ma sicuramente non per farne una corrente per le dispute fra magistrati e men che meno per offrire una sponda a un qualsivoglia partito politico. L’appartenenza di tessera o altro era estranea alla sua formazione. Aveva un profondissima cultura non solo giuridica (era fra i non molti ad aver decrittato e applicato la lezione di Antonio Pigliaru), riversata in un senso estremo dell’indipendenza della magistratura e personale. Singolarmente riconosciuta, anche in quella contrapposizione campale, praticamente da tutti. Inclusi quelli che ne conoscevano l’ispirazione morale e culturale: dalla parte dei democratici più rigorosi nella difesa dei principi di libertà, progresso, rispetto dei diritti per i ceti più deboli e dei valori fondamentali della Costituzione. Se si vuole banalizzare, si può dire che Porcella fosse un uomo della sinistra laica, libertaria, vicina ai movimenti progressisti, mai engagée con i partiti di quell’area. Dal 1992 in poi, l’avrebbero definito una “toga rossa”. Corretto in un certo senso, scorrettissimo nella concretezza dei fatti. Porcella parlava almeno vent’anni fa di controllo di produttività nel lavoro dei magistrati, della necessità di un continuo aggiornamento, di verifiche di merito, di responsabilità dovuta dai colleghi. Non faceva sconti agli altri magistrati, semmai applicava un di più di severità nel valutare il loro operato. Ecco la ragione della sua diffusa credibilità, che non richiedeva esposizioni mediatiche mai ricercate e semmai sfuggite.

Infine i nodi sono venuti al pettine proprio col riconoscimento maggiore che forse Porcella non si aspettava. Nella guerra attorno al caso Manuella, dei due poli combattenti , quello colpevolista senza se e senza ma faceva capo a Giuseppe Villa Santa, potentissimo e spesso arrogante Procuratore della Repubblica prima e Procuratore generale successivamente, dopo battaglie ad eliminazione combattute e vinte contro il Procuratore Testaverde e ancora prima contro l’ex amicissimo Raimondo Pili, presidente di sezione della Corte d’Assise. Meno personalizzato, il fronte opposto, “innocentista”; aveva come punto di riferimento il primo Presidente della Corte d’appello Corrado Onnis, con intorno una schiera composita di magistrati. Non sempre “di sinistra” ma in opposizione ai metodi d’indagine duramente denunciati come veri abusi da parte della Procura. Che sarebbe uscita sconfitta dal braccio di ferro grazie alla sentenza assolutoria che sancì l’esistenza di un gravissimo errore giudiziario (imputati in carcere per anni, alcuni con danni irreversibili alla salute), evitato fino alle estreme conseguenze dal collegio giudicante.

Gli infiniti strascichi di quella vicenda fecero sentire i loro effetti perversi per anni. Con una sola eccezione: riguardo proprio Antonio Porcella. Andava nominato il nuovo Presidente del Tribunale di Cagliari, ruolo cruciale, molto ambito e conteso. Le segnalazione al Consiglio superiore della magistratura spettavano al Procuratore Villa Santa e a Salvatore Buffoni, subentrato a Corrado Onnis come primo Presidente e in pessimi rapporti, come il predecessore, con Villa Santa. A questo punto una grande sorpresa, come ormai non è più dato vederne al Csm. Villa Santa e Buffoni indicarono entrambi come miglior candidato, per le sue qualità, rigore ed equilibrio proprio Antonio Porcella. Una indicazione così speciale produsse un’immediata, stupita designazione del Csm e Porcella divenne il presidente di Tribunale più accreditato della storia recente nella magistratura sarda.

Ha fatto onore a quell’incarico, applicando i suoi metodi di valutazione mai correntizi. Pur restando legato a “Magistratura democratica” (lasciandone la leadership isolana a Mauro Mura, collega e amico di una vita, ora Procuratore della Repubblica), è rimasto un punto di riferimento grazie all impegno e al rigore morale. Forse sono sbagliate le graduatorie ma è certo che, senza alcuna concessione all’ipocrita galateo funebre, si è detto da molti e ancora si afferma che Antonio Porcella è stato in assoluto tra i migliori magistrati sardi degli ultimi decenni. Avrebbe potuto, se avesse voluto, ritagliarsi incarichi nazionali, nessuno dei quali era precluso alla sua caratura. Non ne ha ricercati e pian piano la sua salute ha cominciato a declinare, insieme alla possibilità lavorare al meglio del suo impegno. I lutti avevano scavato un solco profondo nel suo animo, negli ultimi anni aveva ceduto a un’angoscia inarrestabile e devastante. In vita la terra gli è stata greve come un sudario di pietra. La memoria gli deve conservare e difendere un primato morale e professionale che ne ha fatto uno dei personaggi in toga più autorevoli e significativi in Sardegna.

Giorgio Melis

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