Fresu: “Torno a Parigi, l’antidoto al terrore è costruire ciò che si ama”

Parigi è la città dove, da circa venti anni, Paolo Fresu ha scelto di avere una casa. La Parigi dei club, dei bistrot, della musica jazz: porta aperta sul mondo e vibrante teatro di incontri. Da venerdì scorso, Parigi non è più la stessa. La strage dei ragazzi, e ancor prima quella del 7 gennaio alla redazione di Charlie Hebdo, l’hanno mostrata al mondo intero più fragile. E più sola.

“Venerdì ero in viaggio per lavoro- racconta Fresu- direzione Conilhac, Francia. Avevamo un concerto in programma, ma all’ultimo momento è saltato tutto. Sono salito su un treno e ho raggiunto la mia famiglia a Bologna”. Le parole con cui ci racconta quella notte di buio, trascorsa a cercare notizie dei tanti amici francesi sulle pagine dei social, sono le stesse che ha affidato a un post su Facebook: “Cari tutti, nessuna paura. Solo rispetto per i morti, per i loro cari, per i parigini, per il popolo francese. Ci sono momenti in cui anche la musica deve tacere lasciando spazio ai pensieri e alle lacrime”.

Sono passati quattro giorni. Oggi, martedì 17 novembre, Fresu ritorna a casa, a Parigi. “Il quartiere dove abito è a pochi passi da Place de la Republique, l’epicentro della furia terrorista: è una casa grande, luminosa, con le finestre al primo piano che danno sulla strada. E’ da quelle finestre che a gennaio scorso con mia moglie abbiamo visto la Francia intera scendere in piazza e gridare Je suis Charlie. Ed è aprendo quelle finestre che voglio gridare ancora una volta tutta la mia solidarietà”.

Il palcoscenico scelto dagli uomini-bomba per quella che è stata battezzata la ‘strage della generazione Bataclan’, è quella più frequentata e meglio conosciuta da Fresu. “Hanno colpito i luoghi che amo, la sala da concerti in stile orientale dove si ascolta musica e si organizzano show case; il ristorante Le Petit Cambodge, luminoso e tranquillo con le ampie vetrine su rue Alibert; e Le Carillon, proprio a pochi passi, un bar punto d’incontro che consiglio spesso agli amici. Sono i luoghi a me cari, dove passeggio libero con la mia famiglia nelle ore di tranquillità e spensieratezza. Una violenza così gratuita lascia senza fiato, siamo abituati a percepire queste tragedie sempre un po’ distanti, come se non ci appartenessero, ma ora all’improvviso ce le ritroviamo addosso, le viviamo dentro casa. E’ per questo che oggi voglio essere lì. Per parlare con la gente della mia città, stringergli le mani, ascoltare il loro dolore”.

La solidarietà e la partecipazione come antidoto contro la paura, dunque, contro chi ha deciso che la satira, la creatività, la musica e la cultura debbano essere punite e cancellate. “Non riesco ancora a fare un’analisi lucida. Non so se esista una relazione tra l’attacco di gennaio e quello di venerdì scorso. Quello di cui sono certo è che la mia vita nella capitale francese non cambierà. Parigi oggi è una città coi nervi scoperti, più ruvida e violenta rispetto a quando l’ho conosciuta, ma poco importa: io torno per stare vicino ai francesi, perché quello che è accaduto a Parigi può accadere ovunque nel mondo. Perché la vita continua e la risposta alla distruzione e al terrore è la costruzione di ciò che si ama e in cui si crede”.

Donatella Percivale

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