C’è da scommetterci: l’Isola ha trovato il suo tormentone estivo. Lo firmano i Bakkanos con il pezzo ‘Estate che figata‘. L’incedere androide, sottolineato da un caos di segnali radio barrettiani, cadenza marziale e riff abulici di basso, precipita in un maelstrom cacofonico con tanto di simulazione di cacciabombardiere e finale atomico. È un brano di rottura, non solo per l’uso disinvolto delle dissonanze e i per testi ricercati e a tratti ermetici, ma soprattutto per il clima divertito e festaiolo, quasi da anemia psicotica, da ‘devoluzione’ totale.
Non manca la goliardia cabarettistica alla Gong, con stridulo e saltellante contrappunto blues della chitarra. C’è poi il tribalismo occulto che raggiunge l’acme del gorgeggio vocale (rivelatori in questo senso sono i passaggi ajò ajò / ballare ballare e in particolar modo olà olà / mare mare, chiari richiami a Ossi di seppia di Montale), per poi planare su un andamento più goliardico da novelty di doo-wop (volare, volare / baciare, baciare / nuotare, nuotare) prima di prorompere in un tripudio di synth sulla terra sarda.
L’arte dei Bakkanos consiste nel riuscire a dare un filo razionale a tanto sforzo revivalistico. Il risultato di questo processo di assemblaggio, di questa catena di montaggio pop, sono canzoni così perfette che al confronto pietre miliari del pop isolano come Banda Beni, Mario Fabiani, Bertas, Barrittas e Collage sembrano dei dilettanti.
Piero Scaruffio