ARCHIVIO. Tore Usala, operaio, è il sardo dell’anno

Non è stato difficile trovare il sardo che più di tutti, quest’anno, ci ha rappresentato. Che ci ha fatti sentire orgogliosi e ci ha riempito le braccia di forza. Per Sardinia Post, Salvatore Usala è l’uomo dell’anno, quello che maggiomente si è contraddistinto per coerenza, forza di volontà, determinazione, altruismo. E, ne siamo sicuri, non solo per noi. Durante la sua ultima battaglia, combattuta a dicembre davanti ai palazzi romani per ottenere i fondi che spettano ai malati gravissimi, abbiamo ricevuto in redazione tantissimi messaggi di solidarietà. Ringraziavano un uomo che, per combattere un’ingiustizia, non ha esitato a sfidare la morte. Un uomo pronto a farla finita davanti a ministri, notabili e telecamere tv per mostrare qual è la realtà in cui viviamo. La sua forza, come un virus, ci ha contagiati. Per questo oggi, Tore, è il simbolo della Sardegna che vuole scrollarsi di dosso il fango che la schiaccia e la offende. Lo abbiamo incontrato.

Lei ha detto: “Se non ci concedono i fondi sono pronto a morire in diretta tv”. Cosa può spingere un uomo a lasciarsi morire davanti alle telecamere?

“Da quando sono malato di SLA la mia vita è finita. Intendo come vita: mangiare, lavorare, correre sui prati e altre cose che ora non posso più fare. E’ iniziata una vita nuova, diversa, comunque meritevole di essere vissuta. Ho deciso negli ultimi anni di fare una guerra totale all’ipocrisia ed arroganza del potere. Sparlano con faciloneria, promettono impunemente, blaterano onnipotenti: sono la vera vergogna dell’Italia. Quando si sceglie di stare in trincea c’è il rischio di morire, la battaglia non puo avere nessun limite, questa è la regola”.

Lei ha detto “Noi sardi abbiamo una sola parola”. Ne è davvero così sicuro?

“I sardi, in maggioranza, sono persone leali, convinte, determinate, l’hanno dimostrato in tutto il mondo. Abbiamo dato i natali a persone come Deledda, Gramsci, Lussu, grandi menti donne e uomini caparbi, pronti a tutto. Faccio due esempi contemporanei, Cossiga e Soru: Cossiga è stato odiato e amato, ma ha segnato un’epoca politica, ha trasformato il ruolo di Presidente da notaio a protagonista, un uomo di parola. Soru ha dimostrato ingegno e determinazione, in tutti i campi, con Tiscali ha letteralmente inventato la New Economy, in politica ha fatto l’innovatore, molti l’hanno amato, altrettanti l’hanno contrastato. Certo, anche tra i sardi ci sono uomini viscidi sciacalli, soprattutto i politici”.

Durante la protesta contro il governo lei si autodefinì “un operaio” e mise in relazione la sua lotta con quella degli altri lavoratori dell’isola e dei sardi in generale. In tanti sono rimasti molto colpiti per il fatto che, da una condizione di grande sofferenza personale, abbia il coraggio di occuparsi anche degli altri. Dove trova questa forza?

“Non c’è da meravigliarsi, in Sardegna siamo italiani solo quando dobbiamo contribuire, quando lo Stato deve inventare provvedimenti mai risolutivi. Ho lavorato da operaio nell’area di Macchiareddu, ho fatto il metalmeccanico, il chimico alla Rumianca, nel 1979 sono entrato a scuola, ero in cassa integrazione, capisco il dramma della classe operaia. Da allora nulla è cambiato: soliti problemi, chimica, miniere, alluminio, tanti soldi buttati per soluzioni precarie. Noi lottiamo per la dignità di una vita, la stessa lotta dei lavoratori”.

Cos’è che la indigna di più della situazione attuale in Sardegna?

“Siamo potenzialmente un’isola dei sogni, con un clima stupendo, una natura invidiabile. Hanno voluto trasformare la Sardegna riempiendo coste ed entroterra di industrie primarie, inquinanti e a basso profitto, le stesse che da trent’anni fanno nel terzo mondo e con le quali è impossibile competere. Abbiamo aspettato per trent’anni la chimica fine, le industrie di trasformazione, il turismo, niente di niente. Ora, con venti anni di ritardo e miliardi sprecati, chiudono tutto, è la crisi più nera: quanti errori, quanta corruzione, quanta disperazione.

Lei ha detto “Sono operaio dentro”. Cosa voleva dire?

“Ho fatto sindacato per trentadue anni, in consiglio di fabbrica, da dirigente, da militante, sempre nella CGIL, con spirito di servizio. Ricordo che se non c’era la retribuzione tutti sospendevamo il lavoro, allora la classe operaia contava, era il nerbo dei lavoratori. Mi sento operaio dentro perché ritengo che l’operaio sia l’anima più nobile della società, il protagonista delle battaglie più significative della realtà civile”.

La crisi che ha colpito la nostra isola è senza precedenti. Quali (se ci sono), gli strumenti per uscirne?

“Bisogna prendere atto che la politica industriale in Sardegna ha fallito, bisogna trovare uno sviluppo alternativo mantenendo la produzione intatta nella doverosa riconversione. L’assistenzialismo è l’anticamera del nulla assoluto, un costo, uno spreco senza prospettiva. Solo producendo si creano le prerogative di un futuro diverso con più certezze, lo Stato deve intervenire, non esiste solo l’Ilva”.

Dal 2004 è bloccato su una carrozzella, eppure non smette di lottare e di dare speranza a tanti, anche fuori dall’isola. Nella vita è sempre stato un lottatore?

“Sono arrivato in un mondo dove regna incontrastato il psicofarmaco, la disperazione, il silenzio, la paura, sopratutto la vergogna di mostrarsi. Ho lottato anni per convincere i miei compagni di malattia, ci sono riuscito con uno sciopero della fame di sette giorni, nel novembre 2009, dove ho rischiato di morire. Tutti mi prendevano per pazzo, mi accusavano di voler fondare un sindacato, si sono ricreduti. Passare dal letto alla piazza, a lotte estreme è complicato, fisicamente e mentalmente. L’associazionismo italiano vive di becero paternalismo, di inconcludenti tavoli. C’è la gara ad essere rappresentativi trascurando i disabili, negli ultimi 4 anni hanno tagliato tutto il sociale, ben 2.500 milioni. Ho sempre lottato, ma da soli non si va da nessuna parte, si puo dare l’esempio, pian piano l’esercito aumenterà, abbiamo aperto una strada, il governo che verrà è avvertito. A breve partirà la battaglia in Sardegna, le Asl tagliano l’assistenza dei gravissimi, dicono per la spending review, ma non hanno capito che sono ben altri gli sprechi. Sarà un gennaio molto caldo”.

 

Donatella Percivale

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