Sindrome di Rett, i medici sardi snobbano il convegno. Il dolore dei familiari

La classe medica sarda ha totalmente disertato l’iniziativa organizzata a Cagliari dall’Airett (Associazione italiana Sindrome di Rett), una patologia degenerativa rara che conta una trentina di casi solo in Sardegna. L’incontro si è tenuto nell’ospedale Microcitemico di Cagliari la scorsa settimana, in contemporanea col convegno nazionale (che è stato trasmesso in diretta da Roma).

L’assenza dei medici sardi ha suscitato amarezza e sconcerto nelle famiglie dei malati rappresentate dal responsabile Airett in Sardegna, Enrico Deplano, padre di Aurora, una bambina affetta dalla patologia. Deplano e la moglie da anni sono impegnati in attività di sensibilizzazione dei cittadini. Hanno ideato il progetto “bambola Aurora” (il nome della loro bambina) che ha coinvolto le scuole del quartiere cagliaritano di Monte Mixi. Un’iniziativa che ha avuto successo tanto da consentire di realizzare l’incontro della scorsa settimana. “Non abbiamo più lacrime per piangere”, dice oggi Deplano. E aggiunge con amarezza che i genitori delle bambine più grandi (la sindrome colpisce nella maggior parte dei casi le bambine) hanno reagito con una sorta di rassegnazione amara, come se a questi atteggiamenti fossero abituati.

Come si spiega l’assenza dei medici sardi?

“Secondo me il fatto che fosse una videoconferenza non li ha entusiasmati. Poi non c’erano crediti formativi e la sindrome di Rett, essendo rara, desta poca attenzione. Inoltre, i sardi in generale sono restii al confronto. Ecco, credo che dovremmo superare la nostra insularità non solo fisica ma anche mentale”.

Ma qualcuno aveva confermato la presenza o hanno snobbato l’iniziativa fin dall’inizio?

“Non ho ricevuto alcuna dimostrazione di interesse e non hanno nemmeno risposto all’invito, rivolto personalmente, di presentarsi per illustrare le loro esperienze e conoscenze per confrontarsi con i colleghi continentali”.

Chi tra i giornali ha dato la notizia?

“Nessuno, a parte Sardinia Post. Non sono stato nemmeno considerato. Eppure i suoi articoli sono stati letti da molti che poi si sono complimentati con noi per quanto avevamo organizzato. Francamente non capisco perché tutti gli altri organi d’informazione ci abbiano ignorato”.

Cosa vorrebbe dire a medici e stampa per coinvolgerli nel futuro?

“Guardi, purtroppo nessuno è obbligato a seguire questi avvenimenti. Constato che c’è chi non riesce a comprenderne l’importanza, l’opportunità di assistere a costo zero a un convegno scientifico di alto livello e di formarsi. Certo, era una videoconferenza e non c’era la possibilità di riconoscere dei crediti formativi. Ma davvero non ho visto, con la sola esclusione del Centro regionale delle malattie rare, alcuna volontà di collaborare con noi”.

Avete pensato a delle strategie di comunicazione e di sensibilizzazione alternative?

“Un giornalista ci ha suggerito di rivolgerci ad agenzie specializzate. Certo, tutti devono guadagnare per vivere, ma io non ho chiesto a nessuno una bambina malata, affronto la vita con dignità, porto avanti un’attività con grande impegno e non faccio mancare niente alle persone che vivono con me come farebbe qualsiasi altro buon padre di famiglia. È chiaro che chi vuole dare un contributo lo deve fare a titolo gratuito, queste povere creature non hanno neanche la forza di vestirsi, come si può pensare di specularci sopra?”

Alessia Corbu

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