Il lavoro degli inquirenti è particolarmente penoso. Si tratta di esaminare uno per uno per uno filmati di pochi secondi che ritraggono donne in momenti intimi nel bagno di qualche ufficio. E di capire dove sono stati realizzati, cioè dove il maniaco digitale di Sorso è riuscito a compiere con successo l’operazione che invece gli è andata male al magistrale Castelvì di Sassari.
Al contrario di quanto si era appreso in un primo tempo, il sistema di registrazione video – un telefonino fissato con lo scotch all’interno di un cestino, con l’obiettivo puntato verso i sanitari – era stato sistemato nel bagno utilizzato dalle professoresse e non in quello delle studentesse. Ed era regolato da un timer che lo metteva in funzione in una precisa fascia oraria.
Il sistema era “chiuso”, cioè non comunicava con l’esterno. Le registrazioni restavano nel telefonino che l’autore dello squallido piano sarebbe andato a recuperare con facilità visto che, in quanto addetto della ditta di manutenzione, aveva libero accesso nella scuola.
Con questa tecnica il quarantaduenne P.P. ha realizzato sicuramente altri filmati, in altri luoghi. Gli inquirenti hanno acquisito dalla ditta per cui l’uomo lavorava (la Multiss) la lista degi uffici ai quali aveva accesso.
Vista la quantità di materiale “scabroso” rinvenuto nel corso della perquisizione nell’abitazione di P.P., è forte il sospetto che i video non fosserp destinati solo all’utilizzo privato, ma possano anche essere stati messo in commercio. Questi “prodotti” hanno infatti un loro mercato.
Di certo l’eccessiva sicurezza questa volta ha tradito P.P. Il meccanismo di registrazione era occultato in modo approssimativo e aveva nel suo inseme un aspetto ancora più sinistro. La prima impressione della professoressa che l’ha scoperto è stata che fosse un ordigno. Infatti sono stati gli artificieri a scoprire la vera natura dell’oggetto: non una bomba, ma uno smartphone senza sorriso.