Nuovo corteo per la sanità oggi a Cagliari: quattrocento persone sono partite da piazza del Carmine e hanno raggiunto il Consiglio regionale per chiedere che “i piccoli ospedali e le strutture territoriali non chiudano: il rischio – dicono – è quello di allontanare sempre più i servi sanitari dalle reali esigenze dei cittadini”. In marcia sindaci e comitati delle zone interne, riuniti nella Rete sarda per la sanità pubblica (foto d’archivio).
Col corteo è stata chiesta all’assemblea sarda una pausa di riflessione sul riordino della rete ospedaliera, approvata a luglio 2015 dalla Giunta e ancora all’esame della commissione sanità (qui il contenuto del ddl). L’assessore Luigi Arru per quasi un anno ha girato la Sardegna, proprio per incontrare le comunità e spiegare il contenuto della delibera (leggi qui). Sono state apportate diverse modifiche, ma le proteste non sono finite. Arru ha sempre detto che i piccoli ospedali non vengono toccati (leggi qui).
Per sindaci e comitati la paura è che “ci sia un numero sempre maggiore di sardi esclusi dal servizio sanitario pubblico”. La preoccupazione era scritta anche sugli striscioni appesi all’ingresso del Consiglio regionale. “Secondo il Censis – ha spiegato Gigi Pisci, portavoce della Rete per la salute pubblica – sono attualmente 250mila i sardi che hanno dovuto rinunciare alla sanità pubblica. Si tratta di una cifra è destinata ad aumentare se si allungano le distanze tra presidi e cittadini. Chiediamo all’Assemblea di fare pressing sulla Giunta per ottenere una pausa di riflessione costruttiva e un maggiore coinvolgimento delle comunità e della società. Oggi in piazza ci sono rappresentanti di Sarrabus, Sarcidano, Barbagia e Iglesiente”.
Alla manifestazione era presente anche il leader di Sardigna Natzione, Bustianu Cumpostu: “L’impressione è che si voglia far pagare la riduzione dei costi in sanità ai cittadini in termini di minori servizi sanitari prossimi alla gente. Invece di potenziare le strutture pubbliche si investe su grosse strutture che dovrebbero essere private, di fatto a carico della collettività. È il caso del Mater Olbia. Nell’immaginario collettivo poi la speranza di cure non viene cercata qui in Sardegna ma fuori dalla Regione, sintomo che c’è più di una cosa che non funziona”.