La riorganizzazione degli ospedali. Arru: “Non si torna indietro”

Ddl Sanità e proteste. In questa intervista l’assessore regionale Luigi Arru fa il punto sul confronto con i territori.

Di tornare indietro, neanche a parlarne. La riorganizzazione della rete ospedaliera, così come l’ha pensata e scritta Luigi Arru, non verrà stravolta. “Stiamo solo facendo dei cambiamenti, in base a proposte ragionevoli, ma che non comportano variazioni di costi”, puntualizza l’assessore regionale alla Sanità. Arru è da settimane che gira la Sardegna: “Ci mancherebbe che non mi confrontassi con gli amministratori pubblici e i territori. Sto spiegando loro che questa riforma mette al centro proprio i cittadini, la garanzia dell’assistenza e la qualità”.

Assessore, tutto come previsto: sulla riorganizzazione della rete ospedaliera il campanilismo la sta facendo da padrone.

È vero.

Cominciamo dalla filosofia del suo ddl, approvato dalla Giunta lo scorso 28 luglio. Nei piccoli centri, dove la protesta si fa sentire, verrà conservato il presidio di primo soccorso e si potenzierà la medicina territoriale. Ma i sindaci vogliono posti letto e sono in piazza.

Abbiamo impiegato mesi per fotografare l’esistente della sanità in Sardegna. È venuto fuori che negli ospedali dei piccoli centri si dà sempre di più assistenza a patologie croniche che, invece, possono trovare una risposta sanitaria in altri modelli organizzativi. Ciò vuol dire che non ha senso ricoverare persone, se ci sono possibilità di cura alternative, con minori costi per la collettività. A questo arriveremo col ddl.

Quali sarebbero le altre possibilità di cura?

Le cosiddette strutture intermedie e gli ambulatori.

Entriamo nei dettagli dei territori sul piede di guerra. Sorgono, per esempio: sono vicini alla rivoluzione.

A Sorgono non stiamo togliendo l’ospedale. Anzi. Resterà in piedi perché abbiamo classificato la zona come disagiata.

Il problema, allora, qual è?

Si sentono declassati. Secondo la nuova ripartizione degli ospedali, ci sono intanto gli Hub di secondo livello, i più importanti perché altamente specializzati. Poi ecco i Dea di primo livello, gli ospedali di zona disagiata appunto, i presidi di base e quelli di comunità.

A Sorgono vorrebbero essere un Dea di primo livello?

Esatto. Ma la ripartizione non è una classifica. È semplicemente una differenziazione in base all’ampiezza, al bacino di utenza e al numero di prestazioni erogate. A Sorgono, infatti, resteranno un presidio di Primo soccorso, la Medicina e la Chirurgia programmata. In più garantiremo l’apertura dell’ospedale di comunità, cioè una struttura intermedia dove i pazienti vengono assistiti prima di tornare a casa.

Mettiamo il caso di una broncopolmonite: cosa succede con le strutture intermedie?

Nell’ospedale per acuti si garantirà la terapia tradizionale per la broncopolmonite, seguendo il classico protocollo medico con antibiotici. Una volta che il paziente è stabilizzato, ma non è ancora nelle condizioni di tornare a casa, verrà assistito nell’ospedale di comunità, col supporto di infermieri e medici di base.

Altro territorio in piena mobilitazione è il Sulcis, con Iglesias che non accetta il trasferimento dei servizi al Sirai di Carbonia, come previsto in prima battuta.

Nel Sulcis ci sono tutta una serie di doppioni che non hanno più ragione di esistere, perché non hanno garantito né una maggiore efficienza nell’assistenza né la riduzione delle liste d’attesa. A distanza di 30 chilometri, si contano due Chirurgie, due Medicine e due Punti nascita.

A proposito del Punto nascita: Iglesias la sta spuntando?

Non è un braccio di ferro: si valuterà la struttura che assicura maggiore sicurezza ottimizzando il lavoro. Adesso, per esempio, in nessuno dei due ospedali viene garantita la terapia analgesica alle donne durante il parto. Cambieremo anche questo. Ricordo pure che, sempre stando ai protocolli dell’Organizzazione mondiale della sanità, un Punto nascita sicuro è quello che registra almeno mille parti l’anno. Nel Sulcis non si supera quota 500. È già una deroga mantenere il reparto.

Punto nascita a parte, Iglesias perderà tutto il resto?

No. Si organizzerà la sanità nei due poli. Ma ripeto: eliminiamo i doppioni. Perché non hanno senso.

Ghilarza, altra zona calda.

Ghilarza, che è la sub-regione del Guilcer, dista 20 chilometri dall’ospedale San Martino di Oristano, il Dea territoriale di riferimento. Già succede che per le emergenze ci si rivolga al Dea. Con la riforma, la struttura di Ghilarza diventa un cosiddetto stabilimento di presidio ospedaliero di area omogenea. Ovvero, manterrà il primo soccorso più la Chirurgia programmata, oltre alla Medicina.

Lanusei?

Stesso discorso: l’attuale ospedale serve un bacino di 60mila utenti. Sulla carta non avrebbe nemmeno i numeri per essere un ospedale di base, come diventerà, visto che servirebbero 80mila pazienti. In Dea, di certo, non si può convertire. Col ddl, però, tenendo conto del contesto geografico, garantiamo un potenziamento di alcuni servizi, come il Pronto Soccorso, la Rianimazione, l’Anestesia e la Traumatologia.

Mobilitazione anche a Tempio.

Lì il bacino di utenti si aggira sui 25-30mila, sempre sotto soglia per diventare anche solo un ospedale di base. Ma col ddl abbiamo previsto un’altra deroga, proprio perché l’estensione della provincia è importante. A Tempio restano il Pronto soccorso con l’osservazione breve intermedia, la Medicina e la Chirurgia programmata. In più, come a Sorgono, apriremo l’ospedale di comunità. Ma non è pensabile tenere il Punto nascite, dal momento che si contano appena 240 parti all’anno. Non sarebbe sicuro né per le madri né per i bambini. È scientificamente dimostrata la relazione tra buon esisto di un intervento e numero di prestazioni erogate. Ripeto: è un fatto di buona sanità. Di qualità e di sicurezza. Tempio, con il suo ospedale, è parte integrante del Dea di I Livello.

A Ozieri e ad Alghero cosa succederà?

Anche questi due ospedali diventano presidi di base. Entrambi avranno il punto di Primo soccorso e la Riabilitazione. A Ozieri, in più, ci saranno la Chirurgia programmata, la Medicina e l’ospedale di comunità. Attualmente esistono in Sardegna 29 strutture ospedaliere e tutte lavorano in autonomia. Questo modello non si traduce in una migliore assistenza.

Per questo avete pensato ai due Hub di Cagliari e Sassari?

Non li abbiamo inventati noi. Il ddl rimodula l’assistenza sulla base di elementi oggettivi, come la distribuzione demografica: in Sardegna, nelle due città del Sud e del Nord è concentrata la gran parte della popolazione. E qui ci sarà la più alta specializzazione medica. Tuttavia, non è che gli Hub di Cagliari e Sassari non vengano toccati: rimoduleremo anche qui i posti letto, aumentando quelli per le patologie croniche, che sono pochi, e riducendo quelli per le acuzie, attualmente troppi.

I posti letto aumentano invece in Gallura e nel Medio Campidano.

Non certo per simpatia. Semplicemente questi due territori erano sottodimensionati. A Sanluri-Villacidro, sulle acuzie ci sono 1,75 posti letto ogni mille abitanti, a Olbia 2,25. La media regionale è di 3,55. Lo squilibrio è evidente e verrà corretto col ddl.

Gli ospedali di comunità sono previsti anche a Ittiri, Thiesi e Bosa. Sul San Marcellino di Muravera c’è un vertice stasera in assessorato. A La Maddalena, invece, cosa succede col Paolo Merlo?

Avrà lo status di ospedale delle isole minori, conserverà quindi i posti letto di chirurgia, di medicina e avrà l’ospedale di comunità. Vi sarà anche una postazione di Emergenza-urgenza.

Vi hanno accusato di aver approvato il disegno di legge senza prima concertarlo.

Facendo il passaggio inverso rispetto a quello deciso dalla Giunta, il ddl sarebbe rimasto cinque anni in un cassetto, come è successo al centrodestra. Con l’approvazione definitiva potremmo ottenere 250 milioni di finanziamenti per riqualificare le strutture.

I conti della sanità sono fuori controllo: l’eredità del centrodestra è un passivo di oltre 400 milioni. Quanto si risparmierà con la riorganizzazione della rete ospedaliera?

La stima è di 120-130 milioni nel prossimo triennio.

In piazza, al fianco dei sindaco, sono scesi anche tanti consiglieri regionali. Ciascuno per il proprio territorio. I posti letto sono voti?

La sanità è sempre stato un punto delicato e sensibile per un politico. Un ospedale vuol dire servizi, ma anche lavoro.

Non trova che alla Sardegna serve un cambio culturale nella gestione delle strutture pubbliche?

Assolutamente sì. Per tutelare il diritto alla salute di ogni cittadino, bisogna mettere da parte gli egoismi e i campanilismi. Dobbiamo imparare a condividere esperienze e a fare rete.

Sulla sanità sarà avanti tutta?

Certo. Non abbiamo motivo per tornare indietro, visto che miglioreremo la sanità in Sardegna.

Lei la chiama riorganizzazione, ma qualche taglio reale  ci sarà pure.

Come ho detto, sui doppioni, ma anche sui 14mila ricoveri inappropriati.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

 

Leggi anche: Un’intervista, un problema spinoso. E, finalmente, niente aria fritta

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