Quattro mori: simbolo di sottomissione o identità culturale?

Non toccate i quattro mori: mai come in queste ultime settimane il senso di orgoglio sardo si è levato in difesa della nostra bandiera. Il 20 gennaio scorso è arrivata la proposta di Francesca Barracciu che, tra il serio ed il faceto, immaginava di sostituire ai mori le sculture di Monti Prama, ieri Pinuccio Sciola che chiama in causa addirittura il Presidente della Repubblica sostenendo che le nostre teste di moro sono un’immagine cruenta e troppo vicina all’orrore dei nostri giorni. Notizie lette, condivise e commentate non solo sui social network ma anche in ambiente politico e accademico: si riapre ancora una volta un dibattito mai chiuso sull’origine del simbolo e quello che rappresenta nella Sardegna contemporanea.

Il vessillo che sventola su edifici pubblici, uffici di rappresentanza, scuole e in qualsiasi luogo del mondo o quasi ci sia una presenza sarda appartiene alla nostra identità da millenni. È lo stemma del Regno di Sardegna nello Stemmario di Gerle, datato tra 1370 e 1386, ritorna nel 1720 nella bandiera dei Savoia che lo arricchiscono con l’aquila e lo scudo rosso. Dopo l’Unità d’Italia e l’arrivo del tricolore i 4 mori bendati resistono accompagnando la Brigata Sassari nelle sue azioni militari. Dal 1952 rappresentano ufficialmente la Regione Autonoma Sardegna: lo ha sancito un decreto del Presidente della Repubblica firmato il 5 luglio del 1952. L’ultimo cambiamento alla bandiera è del 1999, teste rivolte a destra e non più a sinistra, e via la benda dagli occhi.

Nel corso dei secoli gli isolani non hanno sempre avuto un rapporto idilliaco con la bandiera che li rappresenta: ricorda storie di guerra, crudeltà e sottomissione e fa pensare a un passato lontano in cui i Sardi di oggi fanno fatica a identificarsi. Un saggio di pochi anni fa ha persino messo in discussione il valore stesso del simbolo: la vera bandiera della nostra terra dovrebbe avere poco a che fare con San Giorgio, i Saraceni e le guerre oltre mare, secondo lo studioso Franciscu Sedda meglio sarebbe ritornare all’albero arburense, vera espressione dell’ultimo Stato di Sardegna prima dell’arrivo di Spagnoli e Piemontesi.

C’è chi tra studi, saggi, dibattiti e indagini filologiche ha anche provato a scherzarci su: nel blog falceemartello.altervista.it è comparsa un anno fa una dichiarazione attribuita all’allora Ministro per l’Integrazione Cecile Kyenge. “Questo simbolo che i sardi usano come bandiera è una cosa vergognosa, ritengo sia impossibile che ancora nessuno abbia provveduto a correggere questo scempio razzista , i sardi hanno ben altre cose da rappresentare nella loro bandiera”. Notizia palesemente falsa, sarebbe bastato verificare la credibilità della ‘testata’ per rendersi conto. Ma l’orgoglio sardo è ormai ferito, oltre cinquanta persone prendono sul serio il post commentano con grande enfasi il fake della Kyenge ben oltre il polictically correct e la notizia inizia a girare vorticosamente su tutto il web come fosse vera.

Per fortuna in pochi hanno preso sul serio l’ultima proposta sulla bandiera nel disegno di Marcello Madau, archeologo sassarese: croce rossa su fondo bianco, e 4 teste di casizolu sorridenti al posto dei mori.

Francesca Mulas

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