Quando il giovane fascista Bagedda tentò di fare della Barbagia una provincia della Repubblica di Salò

Una vita avventurosa quella di Bruno Bagedda, uno tra i più noti penalisti sardi, che si è spento ieri a Nuoro all’età di 92 anni. In questo articolo, una rievocazione del suo passato di giovane fascista repubblichino. E di un progetto che, per fortuna, non andò in porto.

Bruno Bagedda non era solo uno dei più noti esponenti del Foro nuorese. In tanti lo ricordano per il suo impegno politico nei ranghi del Movimento sociale italiano, una lunga militanza che gli permise anche di varcare la soglia del Consiglio regionale.

Una passione politica iniziata tra i banchi dell’università, quando l’Italia si preparava ad entrare nel secondo conflitto mondiale al fianco della Germania nazista. Una guerra che il giovane di Bitti decise di vivere da volontario, senza nessun tipo di esitazione. ““Decisi di partire subito perché ritenevo che in gioco ci fosse la patria e non il fascismo””, spiegò più volte il difensore di Mesina.

Dopo essere stato impiegato su diversi fronti, si ritroverà in Sardegna per vivere in prima persona le delicatissime vicende del 1943; dallo sbarco angloamericano in Sicilia alla firma dell’armistizio di Cassibile. L’Isola veniva infatti ritenuta strategica per il controllo del Mediterraneo e molti militari sardi vennero rimandati a casa per sfruttare la conoscenza del territorio, doti imprescindibili se gli Alleati avessero deciso di liberare Roma passando prima da Cagliari.

L’armistizio e la resa incondizionata vennero vissuti come un dramma dal giovane giurista barbaricino, era partito da volontario tre anni prima e non aveva nessuna intenzione di unirsi alle truppe del “Regno del Sud”, esercito che aveva avuto l’ordine di combattere al fianco di chi era stato ritenuto nemico sino a poche settimane prima. Lo scoppio della guerra civile lo portò a stare dalla parte di chi avrebbe voluto continuare a seguire l’ideologia fascista armi in pugno; a Nuoro fu il cardine di una rete clandestina che cercò di organizzare la propaganda contro “i liberatori”.

Come raccontato dallo storico cagliaritano Angelo Abis, in Sardegna si continuarono a stampare pubblicazioni fasciste sino al 1944 inoltrato: l’impegno della ridotta nuorese non era affatto unico nel suo genere. La clandestinità fu, però, una scelta obbligata per il tenente dei Guastatori, nonostante un piano dettagliato non riuscì a farsi prelevare da un battaglione di stanza in Corsica che avrebbe voluto andare verso nord per ricongiungersi ai gruppi del nascente esercito di Salò.

Un fallimento che non demoralizzò Bagedda ed i suoi compagni di lotta. Dopo qualche tempo entrò in possesso di una potente ricetrasmittente custodita in un’abitazione di Siniscola, usata da un collaboratore degli Alleati che era stato incaricato di rivelare i movimenti della flotta italiana a largo delle coste della Sardegna orientale. “Da Siniscola, Bruno Bagedda – – ha scritto Abis in uno dei suoi libri – – attivò i collegamenti radio direttamente con la Presidenza del Consiglio della Rsi, in particolare anche con il sottosegretario Francesco Maria Barracu.

Concordò anche, direttamente con il cappellano padre Luciano Usai, il lancio di un gruppo di agenti speciali, che dovevano essere paracadutati a Bitti, in una tenuta della nonna di Bagedda, ma, gli aerei tedeschi, che li trasportavano, sbagliarono obiettivo di parecchi chilometri”.

Episodio che non fu l’unico, i lanci di paracadutisti della Repubblica sociale si ripeterono a più riprese tra il giugno e il novembre del 1944. Incursioni sul territorio nemico che non andarono a buon fine. Bagedda non riuscì a portare l’Isola sotto l’egida di Salò.

Matteo Mascia

 

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