Muledda (Rossomori): “Sugli incendi più prevenzione e meno lacrime”

Ogni anno, quando si verificano incendi di vaste proporzioni, si leva il cordoglio per i morti, la disperazione dei danneggiati, alcuni dei quali hanno perso qualsiasi possibilità di produrre; si fanno statistiche, si citano i numeri; si maledice lo Stato e un poco meno la Regione per l’insufficienza dei mezzi di spegnimento. E si rilancia sull’inasprimento delle pene e, tanto per darci un tono, anche se pochi l’hanno letta, si richiamerebbe in vigore la Charta de Logu. Basta una citazione e tutti siamo pronti a tagliare la mano destra.

Ora tutto questo, come è assolutamente evidente, riguarda il contrasto al fuoco. Riguarda il durante e il dopo incendio. Io che sono cresciuto in un paesello e ho fatto il sindaco in altrettanto piccolo paesello credo che, se non si modifica la prospettiva e il modo di affrontare l’argomento, ogni anno si diranno le stesse identiche cose. Credo che il problema stia nella prevenzione. E credo che la prevenzione si possa fare se invece che organizzare apparati elefantiaci e brucia soldi si mette mano a ricostruire il senso della comunità che i nostri centri rurali stanno perdendo, per non dire che in tanti luoghi è stato già perduto. Per comunitarismo, un tempo non lontano, negli ambienti indipendentisti, si intendeva il sentimento di appartenenza alla propria originaria comunità, definita da territorio, da regole d’uso, dalla partecipazione dei frutti e dalla derivazione, dal corretto utilizzo, dei mezzi di vita e della vitalità delle attività economiche. Parliamo delle alternanze d’uso, tra contadini e pastori; degli usi civici gestiti comunitariamente delle regole della vita di campagna e delle consuetudini nelle relazioni tra singoli e tra nuclei familiari.

Non è che in passato non scoppiassero gli incendi. Scoppiavano; ma la comunità sentiva il danno e la lesione dei diritti dei singoli e del corpo sociale nella sua dimensione, appunto, comunitaria. Anche perché il danno doveva essere ripagato dalle forme della solidarietà comune e delle categorie interessate.
Si può fare prevenzione? Io credo di sì e credo che senza la prevenzione la piaga degli incendi non sarà mai sconfitta. Perchè, per taluni aspetti, ci sono interessi che vivono sull’incendio. Non voglio parlare delle norme tecniche di prevenzione; e neppure del ruolo che hanno i corpi della Regione deputati alla bisogna. Tutte le forme di prevenzione tecnica vanno messe in atto e tutti gli accorgimenti vanno messi in piedi. E in larga misura si fanno. Io propongo invece un sistema di coinvolgimento nella prevenzione di chi nelle campagne vive, lavora, produce.

Il mio amico pastore sa perfettamente come si può evitare che altri appicchino l’incendio. Il pastore sa come si muove la gente nel suo territorio e come si possa controllare. Il pastore sa che il territorio è la sua vita. Grama, ma è l’unica vita possibile per se stesso e per la sua famiglia. Organizzare un sistema di coinvolgimento della pastorizia nel sistema di prevenzione, destinando specifiche risorse del piano di sviluppo rurale da erogare alle aziende, nel cui terreno e nel terreno di pastori associati per vicinanza di territorio, non scoppiano incendi o siano immediatamente dominati, diventa determinante. Perché il pastore sta in campagna. Perché conosce la campagna. Perché, se adeguatamente retribuito e motivato socialmente, inventerà l’uomo dell’agricoltura e dell’allevamento dello sviluppo ecosostenibile.
Attualmente, invece, esiste addirittura un discrimine verso i pastori, sia nelle assunzioni nei cantieri forestali che per gli addetti dell’antincendio; per cui si determinano situazioni al limite del grottesco con le aziende agricole intestate alle mogli o ai vecchi per consentire al pastore di accedere a una più sicura e meno rischiosa fonte di reddito. Situazioni che creano tensioni, talvolta violente, all’interno delle comunità.

Chi lavora in campagna, se non vogliamo che tutto si desertifichi, deve avere riconosciuto il diritto a una vita serena per reddito e rispettata nella sua dignità. Prevenzione non è, naturalmente, solo questa pratica elementare. Ma affermare che si premia il territorio dove non nascono o crescono gli incendi introdurrebbe una visione diversa dello stare al lavoro della terra e dell’allevamento. E daremmo ancora linfa al nostro vecchio comunitarismo, parte essenziale della nostra identità culturale e di popolo. E spenderemmo molto di meno: come spesa diretta e come conservazione del valore ambientale che il fuoco annualmente si mangia. Insomma la comunità regionale deve farsi carico, anche nelle città, più che del dovuto lamento per la distruzione del valorosissimo patrimonio ambientale, del reperimento delle risorse per organizzare una seria economia delle aree rurali. Con il contributo dell’Unione Europea, certo; ma anche definendo in questo senso forti politiche di bilancio della Regione.

Gesuino Muledda

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