Morte Piludu, il giudice: “Rifiutare cure e non soffrire è diritto del malato”

Il servizio sanitario nazionale deve accompagnare e accudire il malato, anche quello che ha deciso di interrompere le terapie che lo tengono in vita. “È un diritto rifiutare le cure e andarsene senza soffrire: sedati per non sentire ansia o dolore”. A sancirlo, con una nutrita bibliografia di richiami giuridici che vanno dalla Costituzione alle più recenti sentenze dei Tar, è il giudice tutelare del Tribunale di Cagliari, Maria Luisa Delitala, che nei mesi scorsi ha accolto la richiesta di Walter Piludu (nella foto), storico dirigente del partito comunista cagliaritano, ex presidente della Provincia, morto il 3 novembre dopo una lunga battaglia contro la Sla, la sclerosi laterale amiotrofica, che lui stesso ha deciso volontariamente di interrompere.

Il contenuto della decisione del giudice – riportato dal quotidiano La Repubblica – sottolinea un punto cruciale: il dovere del medico del servizio pubblico di stare accanto e sedare, evitando così inutili sofferenze, anche a chi sceglie di interrompere trattamenti, nutrizione e ventilazione artificiali. Perché la salute, ha ribadito il giudice cagliaritano, non è solo “assenza di malattia, ma benessere psicofisico, che coinvolge la percezione che ciascuno ha di sé, aspetti interiori della vita e la relazione con gli altri”. L’esponente politico sardo – ormai immobilizzato a letto e in grado di comunicare solo attraverso un computer che intercettava i movimenti delle pupille – aveva scritto a Papa Francesco, Renzi, Grillo e altri leader politici nazionali sollecitando una legge sulla ‘fine vita’.

“Ha ragione Piludu – scrive nella sua decisione Maria Luisa Delitala – di pretendere dai sanitari il distacco dei presidi medici, compresa la ventilazione assistita”, garantendo però al paziente che “l’interruzione del sostegno artificiale” venga effettuato “previa sedazione”. Una sentenza corposa soprattutto nei riferimenti giuridici: si cita la Costituzione ribadendo che la Carta “tutela il diritto alla salute e quello ad autodeterminarsi, a scegliere se fare o meno un trattamento sanitario”, così come la sentenza del Tar della Lombardia che ha condannato la Regione perché eseguì il volere dei giudici di staccare le macchine – come chiesto dalla famiglia – che tenevano in vita Eluana Englaro, ormai in coma irreversibile da 17 anni. Ma sopratutto viene ripresa la norma sul consenso informato, alla base dei diritti di tutti i pazienti, che sottolinea come il malato “può rinunciare alle cure anche se questo porta alla morte”. (Ansa)

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