Libia, il corpo di Fausto Piano “potrebbe rientrare in Italia oggi”

Si apre uno spiraglio sul rientro in Italia delle salme dei due tecnici uccisi in Libia, il sardo Fausto Piano e il siciliano Salvatore Failla. “I corpi sono sempre a Surman”, nei pressi di Sabrata ma “è molto probabile che il rimpatrio avvenga oggi”. Così ha riferito all’ANSA il sindaco di Sabrata, Hussein Al-Zawadi. Fino a ieri nessuna certezza sulle tempistiche.

Surman è una cittadina contigua da Sabrata (i rispettivi centri distano meno di 10 chilometri uno dall’altro) la cui milizia si coordina con quella del municipio guidato da Al Zawadi. Le due milizie, insieme, sono state impegnate nello scontro a fuoco in cui hanno perso la vita i due tecnici italiani la scorsa settimana. I due erano stati rapiti nel luglio del 2015 insieme ad altri due tecnici della società emiliana Bonatti impegnati nel gasdotto Eni. Gino Pollicardo e Filippo Calcagno sono vivi e da ieri sono stati rimpatriati. Durante l’audizione con il pm hanno rivelato importanti dettagli sulla prigionia e sulla liberazione. Intanto le due famiglie chiedono giustizia e verità sulla dinamica.

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In Sardegna. Bandiere a mezz’asta nel Comune già da qualche giorno. Dolore e tristezza in tutta la comunità. Ma da oggi Capoterra, il paese alle porte di Cagliari di Fausto Piano, entra ufficialmente in lutto. Alle 18 il Consiglio comunale non affronterà subito gli ordini del giorno in programma, dalla discarica di S’Ottioni Mannu alla consulta degli anziani, ma si fermerà per un minuto in silenzio per ricordare il compaesano vittima della tragedia nella regione di Sabrata. Un paese che si ferma: rimandate tutte le manifestazioni in programma in settimana sino alla svolgimento dei funerali di Piano. Data delle esequie ancora da stabilire: familiari e comunità aspettano il ritorno della salma da Tripoli.

Il silenzio e la rabbia. Ma per l’esame autoptico si dovrà passare necessariamente per Roma. Una famiglia ed un paese che aspettano risposte. Dal giorno dell’arrivo della notizia della morte di Piano su Capoterra è scesa una cappa di gelo e silenzio. I familiari stretti si sono chiusi nella loro casa di via Carbonia dove vi è un incessante via vai di parenti e amici intimi. Nessuno se lo aspettava: questo il primo commento a caldo del paese. Ma dopo lo sbigottimento ora sta montando anche la rabbia e la richiesta di spiegazioni con ironici ringraziamenti allo Stato. E c’è chi dice: si poteva fare di più. L’abbraccio collettivo alla famiglia è previsto per i funerali: quel giorno tutta Capoterra si fermerà per stare vicino ai Piano.

Il Copasir: “Nessun riscatto”. “Ho sentito del pagamento di un riscatto e ho sentito del pagamento di un riscatto in mani sbagliate. Dico solo che delle modalità di risoluzione di un sequestro come questo il Comitato che presiedo viene informato e può acquisire tutta la documentazione in merito. Per questo posso dire che non mi risulta che ci sia stata una scelta di questo tipo”. Così il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi, intervistato dal quotidiano online Affaritaliani.it, parla del sequestro dei quattro italiani in Libia. “E soprattutto sbagliano, perché nessuno ha mai riferito al Copasir tale fatto – sottolinea Stucchi – coloro che sostengono che sia stato pagato un riscatto a un intermediario sbagliato. Chi sostiene questa tesi probabilmente non si rende conto che di fronte ad una eventualità del genere, un errore grave, la prima cosa che sono certo farebbero i servizi, la più logica, sarebbe proprio quella di informare il Comitato senza cercare di non nascondere nulla”.

Le ipotesi dell’intelligence. “In questo momento, senza disporre ancora di informazioni ufficiali puntuali – prosegue il presidente del Copasir – l’ipotesi più probabile è che i primi due ostaggi italiani che purtroppo sono morti fossero oggetto in quel momento di un trasferimento da una prigione ad un’altra e che su quel convoglio viaggiassero anche i capi sequestratori, ovvero la linea di comando dei rapitori. La notizia dell’uccisione dei probabili capi potrebbe quindi aver convinto gli altri carcerieri – é logico ipotizzare che alcuni fossero rimasti a controllare il primo covo – che ancora tenevano in ostaggio gli altri due italiani a darsela a gambe abbandonato Pollicardo e Calcagno, i quali, avendo capito che non c’era più nessuno a controllarli, hanno sfondato la porta e sono usciti dal covo, tornando liberi”. Quanto alle accuse della vedova di Salvatore Failla, per Stucchi, “ha ragione quando chiede che venga fatta massima chiarezza. Anche in una situazione così complicata è necessario individuare tutti gli elementi per ricostruire quello che è successo. Per quanto riguarda il lavoro dell’intelligence, posso dire che ha seguito questa vicenda con lo stesso impegno profuso in passato in altri casi delicati avvenuti in aree molto problematiche, e quindi simili a quest’ultimo, che fino ad ora si erano conclusi prevalentemente con esito positivo. Dire che l’intelligence non sapesse nulla di quanto stava accadendo e che non stesse operando per riportarli a casa vivi è sbagliato”.

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