Libia, sul rientro delle salme nessuna certezza: “Decide la Procura generale”

Nessuna certezza né sull’autospia, né sul rientro delle salme del sardo Fausto Piano e del siciliano Salvatore Failla, i tecnici della ditta emiliana Bonatti rapiti lo scorso luglio e uccisi in Libia, in circostanze da chiarire. “Spetta al Procuratore generale” libico insediato a Tripoli “il compito di decidere quando i due corpi saranno restituiti all’Italia”: così ha detto all’ANSA il Direttore del dipartimento media stranieri del governo Tripoli, Jamal Zubia, contattato al telefono. “Non posso aggiungere altro”, ha detto rispondendo a domande sulle procedure – possibile autopsia inclusa. I corpi si troverebbero ancora a Sabrata. Un’ulteriore conferma arriva dal sindaco di Sabrata, Hussein al-Zawadi, in un sms ha confermato che “la questione dei corpi e dell’autopsia è nelle mani della Procura e del Procuratore generale, al fine di determinare le cause della morte”. Il messaggio è stato inviato all’agenzia ANSA del Cairo.

Il presidente del Consiglio, Renzi. Sul caso è intervenuto anche Matteo Renzi nel pomeriggio con una dichiarazione al programma tv Domenica Live. “Dovremmo capire le responsabilità, perché i quattro” uomini poi rapiti “sono entrati in Libia quando c’era un esplicito divieto di entrarci da parte nostra. C’è stata un’operazione di intervento, probabilmente dei cantieri da visitare. E’ ancora da chiarire. La vicenda è molto delicata”.

L’azienda Bonatti. “Noi capiamo il senso di queste parole in questi momenti, però ci sarà modo e tempo di chiarire ciascuno le proprie posizioni. Noi siamo sereni di aver agito e di aver fatto fare cose che tengono conto della situazione complessiva e della sicurezza della nostra gente”. Così ha dichiarato Paolo Ghirelli, presidente della Bonatti, che ha sottolineato che “soprattutto in queste ultime ore insieme all’unità di crisi e alle autorità libiche abbiamo provveduto ad assistere alla fase di rientro dei due tecnici sopravvissuti. Il nostro obiettivo prioritario era di coordinarci con unità di crisi sugli aspetti logistici per assicurare il rientro a casa. In questi giorni siamo stati in contatto con le famiglie dei rapiti e delle vittime. Certo contavamo che ci fosse una soluzione per tutti: sono nostri colleghi”.

Le famiglie. Intanto ha rotto il silenzio il figlio del meccanico specializzato di Capoterra. Così Stefano Piano ha chiesto verità e giustizia: “Ora aspettiamo solo il ritorno a casa del corpo di nostro padre. Lo Stato ci deve dire la verità sulla sua morte”. La famiglia del collega siciliano ha incaricato un legale, la moglie, Rosalba Scorpo, si è già espressa con durezza sulle trattative: “Lo Stato ha fallito”. Gli altri due dipendenti della società emiliana Bonatti, rapiti insieme alle vittime sono arrivati in Italia e hanno rilasciato importanti dettagli sulla prigionia e liberazione.

La versione degli ostaggi. Gino Pollicardo e Filippo Calcagno hanno saputo della morte dei due colleghi solo oggi, una volta giunti a Roma. Questo è quanto emerge dall’audizione oggi in una caserma del Ros. In base a quanto si apprende i due non conoscevano la sorte tragica Failla e Piano con cui hanno condiviso la detenzione fino a mercoledì scorso cambiando, in questi mesi, due prigioni sempre nella zona di Sabrata. Secondo la versione data al pm si sarebbe liberati da soli venerdì scordo. I due hanno detto che mercoledì i carcerieri hanno prelevato Salvatore Failla e Fausto Piano forse per effettuare un trasferimento in una nuova prigione. Da allora Pollicardo e Calcagno non hanno più incontrato i loro carcerieri e non hanno ricevuto né acqua né cibo e hanno deciso di sfondare la porta del luogo dove erano segregati e sono riusciti a fuggire. Negli otto mesi sarebbero stati picchiati con calci e pugni e in alcuni casi colpiti con il manico del fucile. Le violenze sarebbero state anche di natura psicologica alla luce del fatto che i carcerieri a volte non somministravano loro cibo per alcuni giorni.

Sequestratori non riconducibili all’Isis. Sono stati tenuti prigionieri da un gruppo islamista non direttamente riconducibile all’Isis, quasi certamente una banda di criminali comuni. Secondo quanto ricostruito dai due con gli inquirenti, nel corso dell’audizione di oggi, i quattro italiani sono stati tenuti prigionieri sempre nella zona di Sabrata e sempre dalle stesse persone. Due i carcerieri che si alternavano. Del gruppo faceva parte anche una donna.

Gli 007 italiani, le piste e la “variabile impazzita”. La soddisfazione per aver riportato a casa, sani e salvi, Gino Pollicardo e Filippo Calcagno non cancella la “tristezza profonda” per l’uccisione di Fausto Piano e Salvatore Failla. Nella convinzione di aver speso ogni energia affinché la loro “missione” avesse un esito favorevole per tutti e quatto gli ostaggi, lasciano, invece, indifferenti le critiche che arrivano da alcuni parlamentari. Questa è l’aria che si respira tra gli 007 italiani all’indomani della conclusione – metà negativa, metà positiva – del sequestro dei quattro tecnici della Bonatti. Per otto lunghi mesi gli uomini dell’intelligence italiana hanno lavorato “notte e giorno” in Libia in silenzio, a fiutare ogni pista, pur di riportare a casa i quattro ostaggi. Poi ha prevalso una “variabile impazzita“. Subito dopo il sequestro – secondo quanto si apprende – è stato avviato dagli 007 un processo di analisi che ha consentito di individuare in gruppi criminali – più che in milizie politicamente radicalizzate o in veri e propri gruppi jihadisti – i probabili responsabili del sequestro. Riguardo a tali gruppi criminali, è stato creato via via un patrimonio di conoscenze che ha portato a delineare il contesto all’interno del quale era probabilmente maturato il sequestro: più per soldi, per opportunità di business che per terrorismo. Convincimento rafforzata dalla gestione stessa del sequestro: né foto, né video dei sequestrati, e neppure di “combattenti” che rivendicavano il rapimento. L’attività operativa svolta giorno dopo giorno sul campo – con il contributo anche di fonti “amiche” – ha portato gli 007 italiani a puntare su un numero limitato di obiettivi: vere e proprie bande che imperversano in aree territoriali contese e, per questo, senza regole; e che potevano aver compiuto il sequestro o che potevano avere nelle loro mani i quattro italiani rapiti. Sono state via via pianificate le azioni più efficaci possibili, tenendo conto di rischi e minacce legati all’instabilità politica della zona a causa di frequenti scontri tra milizie locali e gruppi terroristici dell’Isis e sarebbero stati individuati anche degli intermediari con i quali sono stati avviati contatti per arrivare ai sequestrati. Le attività operative d’intelligence erano dunque in una fase avanzata e lasciavano sperare in una conclusione positiva. Quel che è poi realmente accaduto nell’area di Sabrata – con l’uccisione di Piano e Failla e la libertà riconquistata da Pollicardo e Calcagno – appare tuttora come un fatto inatteso, una “variabile impazzita”, ed è ancora oggetto di analisi strategica approfondita da parte degli 007 alla luce dei dati via via emergenti.

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