LE STORIE. Le detenute di Uta: sorrisi e difficoltà dietro le sbarre

“Auguro a tutte le donne tutto il bene di questo mondo, ma soprattutto mi auguro che le donne non perdano i loro valori, noi qua li perdiamo, ma i valori ci sono”. Sono le parole di Alessandra Manca, 23 anni, da sette mesi detenuta all’interno del carcere di Uta, a pochi chilometri da Cagliari. Una vita difficile alle spalle, il suo viso è segnato dalla sofferenza, dalle lacrime quando ripensa al suo bambino di un anno che le è stato portato via e ora è tra le braccia di una coppia di affidatari in Sicilia. Lo vede crescere solo attraverso le foto che le mandano i nuovi genitori di suo figlio, e l’unica persona che vede durante gli orari di visita è il padre, anche lui detenuto a Uta. Pensieri, speranze, malinconia, voglia di una nuova vita, o anche solo della stessa prima di varcare il cancello della casa di pena, ma soprattutto voglia di libertà. Sono le sensazioni che si sono percepite stamattina tra le 27 donne detenute a Uta nel corso dell’incontro ‘Un sorriso dietro le sbarre’ per l’8 marzo organizzato per il settimo anno dall’associazione ‘Socialismo Diritti e Riforme’ e dal 2012 con la collaborazione della Fidapa in occasione della festa della donna.

È stato anche un momento per parlare di prevenzione di tumore al seno. “Nel 2015 in Sardegna – ha spiegato Massimo Dessena, chirurgo-oncologo dell’ospedale ‘Businco’– si sono registrati circa 1400 casi di carcinoma della mammella, che è il tumore più frequente nella popolazione femminile di ogni età, in Italia complessivamente l’anno scorso i casi sono stati circa 50 mila. Grazie alla diagnosi precoce, allo screening, alle Brest Unit e alle moderne tecniche multidiciplinari diagnostiche e alle nuove terapie farmaceutiche si è raggiunto un incremento della sopravvivenza che negli stadi iniziali della patologia raggiunge il 98%”.
“L’obiettivo di questa iniziativa è quello di avvicinare il più possibile la società al mondo della detenzione in particolare femminile, spesso trascurata per il basso numero delle detenute che vivono con particolare dolore la perdita della libertà”, ha spiegato Maria Grazia Caligaris. E sono state proprio le detenute le protagoniste di questa giornata, le loro parole, i loro racconti, la loro sofferenza, e in certi casi anche la loro speranza. “Quando uscirò da qua avrò la mia attività, avevo un’agenzia d’affari, vendita auto e disbrigo pratiche telematiche”- ha spiegato una donna che da qualche mese si trova nel penitenziario di Uta e che preferisce rimanere nell’anonimato proprio per cercare di portare avanti la sua attività lavorativa una volta uscita dal carcere. Dovrà fare i conti con tutto ciò che deve affrontare un ex detenuto: “Quando una persona esce dal carcere perde tutti i suoi requisiti, ossia diventa difficile prendersi anche un semplice mandato per diventare un agente finanziario o agente assicurativo”.

Ma nonostante le difficoltà che affronta tutti i giorni, all’ex imprenditrice non manca la positività:” La mia vita fuori inizierà meglio di prima, ora la cosa più brutta è che non possiamo comprarci ciò che vogliamo e qua i prezzi sono almeno raddoppiati”. Mostra uno shampoo che le è stato regalato insieme ad altri prodotti per la cura della persona dall’Associazione Socialismo Diritti e Riforme e da UnipolSai, farmacie, erboristerie e un centro medico estetico:” Questo fuori dal carcere costa massimo due euro, qua lo paghiamo cinque euro”. Anna, Patrizia, Isabella, Stefania, Alessandra, sono solo alcuni nomi delle donne detenute, molte di loro hanno voglia di parlare, altre vorrebbero ma non possono, hanno un processo in corso e il direttore non permette rilascio di dichiarazioni con la stampa, per tutte, in un modo o nell’altro, quella di oggi è stata una giornata speciale. “È una giornata diversa dalle altre” – ha detto Isabella Angius -” aspettavamo questo giorno e non eravamo sicure che riuscissero a organizzarlo”.

IL VIDEO

Isabella ha 34 anni e anche lei coglie l’occasione per raccontare com’è la vita all’interno di un istituto di pena. “È un inferno, io sono da sola in cella, non posso socializzare, non posso uscire nel corridoio e mi hanno anche negato gli arresti domiciliari, passo le mie giornate a scrivere lettere a mia sorella che vive a Londra, ma faccio anche qualche attività come yoga, educazione fisica e biodanza”. Ma c’è anche chi lavora. “Mi sento fortunata, faccio la cuoca”- ha spiegato Patrizia ai nostri microfoni- “mi sarebbe piaciuto fare un corso di dizione, ma alle volontarie non si può chiedere di più, siamo lontane dalla città, a Buoncammino sotto questo punto di vista era diverso”. Tra loro c’è anche Stefania Malu, la detenuta più anziana d’Italia, e proprio oggi ha compito 83 anni. Ha una lunga storia giudiziaria alle spalle, è malata e ha ricorrenti crisi respiratorie e problemi cardiologici, è diventata la nonnina di tutti. Stamattina portava un cerchietto giallo, i capelli sciolti, ma anche lei non può rilasciare dichiarazioni.

Anna (qui il video) invece passa le sue giornate a confortare le altre detenute e per il suo futuro si augura di poter aiutare i bambini e gli anziani: ” Qua dentro aiuto le altre detenute con i miei consigli, confortandole e ricordando loro che fuori inizia una nuova vita, non bisogna prendere di nuovo la strada sbagliata”. Durante l’incontro è stato possibile anche visitare una cella della sezione femminile.

LE FOTO

Il silenzio è assordante, rimbomba il tintinnio delle chiavi che urtano tra loro. Una giovane poliziotta penitenziaria apre una cella per una persona. Si vede subito una piccola televisione appesa sul muro, sulla sinistra c’è un letto singolo, ai piedi del letto pochi mobili, e poi le sbarre, quelle che separano il carcere dal resto del mondo. Un piccolo lavandino e poi un bagno. Poche cose per immaginare anche solo per poco come può vivere una detenuta. La mattinata si è conclusa con un toccante discorso di Claudia Firino, assessore regionale alla Cultura e Pubblica istruzione:” Non so cosa vuol dire stare in un carcere, solo chi sta dentro lo sa, ma so cosa vuol dire non poter fare ciò che vorrei fare in ogni momento, perché la mia situazione mi impedisce di fare molte cose che fanno la maggior parte delle persone, non potermi muovere e essere come tutti gli altri”. L’assessore ha portato dei libri in regalo alle detenute e ha spiegato così la sua scelta:” Vi ho portato i libri non solo perché sono assessore alla pubblica istruzione, ma mi hanno aiuto molto a vedermi in un modo diverso e a portare quel muro che voi vedete, un po’ più lontano”. E ha preso un impegno:” L’impegno che prendo è quello di portare le vostre voci fuori da qui e portare attenzione in tutte le azioni che portiamo avanti come regione, possiamo assottigliare quei muri e portare qui più azioni, più attività, più libri e più mondi che non solo possono farvi sentire meno sole, ma possono darvi la speranza, c’è una possibilità per tutti e molto dipende dalla forza e da quanto ci credete tutte, vorrei augurarvi di non perdere la fiducia e di lottare sempre”.

Monica Magro

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