Is goccios di Meana per riportare in parrocchia il prete argentino ‘esiliato’

Appaiono lontani, e per alcuni sconosciuti, i tempi in cui in Sardegna il malcontento sociale, le scelte politiche impopolari, e altre vicissitudini della vita comunitaria venivano espresse e dibattute in forme colte e peculiari della cultura sarda. Le “canzonis”, da altre parti dell’Isola dette “goccios“, rappresentano una di queste forme colte originali, create per esprimere dissenso politico e sociale e più in generale popolare.
Lunghi testi in lingua sarda, scritti in versi, normalmente endecasillabi, hanno una natura satirica. Ricordano e commentano episodi clamorosi, con scopi diffamatori ma più spesso con intenti morali. Rigorosamente anonimi, spesso scritti su carta per diffonderli agevolmente, ma poi imparati a memoria, specie le strofe più salienti, per riportarli alla conoscenza e diffonderli ulteriormente in qualsiasi situazione. Ed è proprio in questa estate rovente di afa, post e tweet tanto noti quanto discutibili, che a Meana Sardo (Nuoro), un piccolo centro del Gennargentu di nemmeno duemila abitanti risorgono dalle ceneri delle cultura tradizionale i “goccios”. A far scatenare la vena poetica, e politica, dei meanesi è un caso politico-religioso: quello de su predi esiliau, il prete esiliato, il giovane argentino Don Patrizio.

Da alcune settimane un lungo testo in versi (nelle immagini sotto), suddiviso in 18 strofe con ritornello, viaggia ininterrottamente per le case meanesi, nelle vecchie e nelle attuali vie di comunicazione: bar, piazze, mail e WhatsApp. Il testo si fa portavoce delle diffuse proteste popolari e attacca argutamente tutte le istituzioni, da quelle comunali a quelle della curia oristanese di cui Meana fa parte, sino ad arrivare al vescovo, reo di aver stabilito il trasferimento del giovane e amato parroco meanese dopo poco più di un anno di vicariato.

Di fronte alla richiesta di spiegazioni da parte del Consiglio pastorale meanese su questo improvviso e immotivato trasferimento, il vescovo non solo non ha fornito spiegazioni ai parrocchiani ma si è rifiutato di incontrare lo stesso Consiglio pastorale. Il comportamento dell’alto prelato non è proprio andato giù. A Meana Caras’austu, es torrada sa dittatura (in quel di agosto è tornata la dittatura) dice il titolo de “is goccios”.
Il consiglio comunale è indifferente e lassista, con una maggioranza zega e sciancada (cieca e sciancata) e una minoranza origa leada (che fa orecchie da mercante).
Il sindaco è Pilato, come il malvagio giudice narrato dai Vangeli che a Pilato, barruncas in abba a Don Patrizio preferint Barabba, (tutto il consiglio preferisce a Don Patizio un tal Barabba).
E così è deciso. I rappresentanti comunali non avranno il voto alla prossima tornata elettorale, perché – a detta del testo – anche di questioni parrocchiali il Comune si deve occupare se queste causano malcontento. E se queste parole appaiono implacabili, sono quelle contro il vescovo, il metropolita di Oristano Don Ignazio Sanna, le invettive più pungenti. Accusato di movere su sonnu ‘e s’istadi i giogada a Domino (per risvegliare il torpore estivo ha pensato bene di mettersi a giocare a Domino) trasferendo qua e là i vari parroci della Barbagia Mandrolisai, con strategie esclusivamente di natura politica. Il vescovo incurante della volontà e dei desideri del paese – prosegue il testo – vuol trasferire il prete della parrocchia meanese, con l’intento nascosto di riportare in auge un vecchio prete, Don Enna, con mire verso la “cattedra” vescovile: e s’invocant a totu is bentos, pius pius a s’oristanesu, ca po tenne sa “cattedra” appresu, est bentu potente scutula “enna”.

Il finale è tutta una invocazione rivolta al vescovo, perché ascolti le parole di Papa Francesco: su Mussennore po esse bonu pastore deppet fragari de ebrè e de angione (il vescovo per essere un buon pastore deve odorare di pecora e di agnello). Questo il monito papale che il vescovo oristanese parrebbe non voler seguire, de sa trona ‘e oro anca sese, degna dimora ‘e su Re Ramsese, no intendes sa oxe de is tuas brebese (dal trono dorato dove siedi, degna dimora del Re Ramsete, non vuoi ascoltare le voci delle tue pecore).
E anche un consiglio: po cussu ti namos in su tou limbazzu, ca es colada s’ora de andare in pensione (che il metropolita vada in pensione). La chiusa della lunga invettiva meanese sottolinea che si tratta di uno scritto senza livore, ma che vuole esprimere un grande dolore, come “si usa in democrazia”. Non sappiamo se il Vescovo ha ricevuto il lungo messaggio in versi dei meanesi, certo è che il plauso verso lo scritto in tutta Meana è generale.

Una forma di dissenso realmente democratico, che contempla abilità letteraria e sagacia di spirito.
Un volto della Sardegna meno noto questo della dialettica politica espressa attraverso i versi, ma che risulta ancor più significativo e meritevole di essere conosciuto proprio di questi tempi in cui altri sardi, invece, esprimono il “dissenso” in forme minatorie e violente, dagli attentati contro i sindaci e gli amministratori alle lettere con proiettili indirizzate al presidente della Regione Sardegna, Francesco Pigliaru.

Ornella Demuru

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