In fuga dalla guerra ad appena sei anni: la nuova vita ‘sarda’ del piccolo siriano

Un viaggio lungo e pericoloso, nella mente ancora le immagini di città devastate, di aerei carichi di bombe, il fumo e il fuoco, le macerie e i morti: la fuga dalla Siria verso il Mediterraneo è un’esperienza terribile che lascia traumi indelebili nelle migliaia di persone che ogni giorno fuggono dal paese martoriato dalla guerra civile. Abdul, siriano, ha vissuto tutto questo ad appena sei anni: ha attraversato la rotta dei migranti insieme allo zio paterno, smarrito a metà strada, ed è stato salvato in mare insieme ad altri profughi mediorientali e africani. E, il 19 ottobre 2014,  è arrivato a Cagliari. Completamente solo. Il padre, la madre e i tre fratelli erano rimasti a Daraa, città a 80 chilometri da Damasco nel sud della Siria, con l’idea di raggiungerlo appena possibile.

Barbara Follesa, responsabile dei servizi di accoglienza della cooperativa sociale “Alkjmilla” che ha incontrato Abdul appena sbarcato in Sardegna, vede nella storia del bambino un mix di tragedia e fortuna, di coincidenze casuali che alla fine lo hanno portato in una casa sicura che lo ha accolto in attesa di poter ritrovare la famiglia di origine. Evento che si è compiuto nelle scorse settimane quando sono giunti a Cagliari i genitori e i fratelli da cui si era separato quattro anni fa: il padre ha già i documenti che attestano lo status di rifugiato, la madre li aspetta. La famiglia è così di nuovo insieme e potrebbe ricominciare una nuova vita, finalmente lontano dall’incubo della guerra. Se non fosse che per il Tribunale per i Minorenni di Cagliari il padre e la madre siriani hanno perso la potestà genitoriale su Abdul nel momento in cui lo hanno lasciato partire solo con lo zio. Il bambino è affidato ora a Barbara Follesa e suo marito Malik Yousfi: la sentenza è stata pronunciata nel dicembre 2014, due mesi dopo l’arrivo del bimbo in Sardegna.

Le immagini dei bombardamenti, il rombo assordante degli attacchi dal cielo hanno lasciato in lui un ricordo lugubre che difficilmente riuscirà a cancellare, eppure oggi Abdul va a scuola, parla un italiano preciso e conosce anche qualche parola di sardo, ha stretto amicizie e fatto sport con i suoi coetanei. Ed ecco il drammatico quesito: è meglio che il bimbo torni a vivere con la famiglia naturale in fuga da uno Stato in guerra o è giusto che prosegua il percorso di crescita e formazione con la famiglia che negli ultimi anno gli ha dato il calore di una casa?

“In questo periodo abbiamo cresciuto Abdul con noi – ci racconta Barbara Follesa, che dopo l’esperienza in politica come sindaco a Sant’Andrea Frius da anni gestisce piccoli centri di accoglienza per stranieri nei comuni del Cagliaritano insieme al marito – contemporaneamente è stato seguito da psicologi, educatori, da un’avvocata che supporta l’aspetto amministrativo. Le maestre hanno fatto a scuola un lavoro meraviglioso così come i genitori dei suoi compagni di classe e si sta integrando con grande serenità. Certo non ha dimenticato quello che ha vissuto, la casa distrutta dai bombardamenti, il terrore della morte; pur essendo così piccolo ha capito bene quello che sta accadendo nel suo paese, e d’altra parte non gli abbiamo mai nascosto nulla”.

Abdul, assicurano i genitori affidatari, è un bambino tranquillo, curioso, con una grande voglia di vivere le stesse esperienze di tutti i bambini della sua età: le feste, i giochi, l’attesa per babbo natale o le maschere di carnevale. “Nella sua storia c’è stato un grandissimo impegno da parte di tutti quelli che hanno avuto a che fare con lui; non secondario poi il fatto che Malik è algerino e mediatore culturale, conosce quindi la lingua e la cultura araba ed è musulmano come Abdul. Gli abbiamo lasciato la libertà di fare le cose che preferiva, di frequentare l’oratorio se lo desiderava, di seguire l’ora di religione insieme alla classe. In casa ha trovato una rete di sicurezza che forse in un altro contesto di accoglienza non avrebbe avuto. L’affido per un minore straniero può assicurare la vera integrazione, ci sono ancora tante paure e tanti luoghi comuni ma il nostro caso dimostra che un ragazzo accolto in famiglia piuttosto che in un centro di accoglienza ha molte possibilità di superare i traumi che ha vissuto”.

casaIl nucleo familiare del bimbo si è ora ricomposto: i genitori di Abdul sono riusciti a lasciare la Siria, e d’altra parte non avrebbero neanche potuto restare dato che la loro casa è stata distrutta dai bombardamenti (nella foto) come tutta la città, Daraa, martoriata dall’esercito di Assad, dalle milizie ribelli al regime e dalla presenza dei combattenti Isis.

Sarà il Tribunale per i Minori ora a stabilire quale sarà il futuro migliore per il bambino: “Siamo pronti ad affrontare qualsiasi decisione nell’interesse di Abdul – conclude la madre affidataria – per noi è come un figlio e comprensibilmente una eventuale separazione sarebbe dolorosa. Eppure tornando indietro rifaremmo esattamente la stessa scelta, l’amore che si dona non è mai invano”. Al giudice nei prossimi mesi spetterà la difficile decisione sulla vita di Abdul.

Francesca Mulas

 

 

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