Bimbo segregato, arrestata la zia: “Dettava ai genitori regole e metodi”

A dettare ai genitori le regole comportamentali nonché influire pesantemente sulla ‘educazione’ del ragazzino di 11 anni di Arzachena sarebbe stata una zia. La donna è finita in carcere ieri pomeriggio su ordine di custodia cautelare firmato dal gip del tribunale di Tempio. I nuovi e sconvolgenti retroscena di una triste vicenda familiare ancora tutta da sviscerare e che ha visto un bimbo di appena undici anni subire segregazioni e angherie da lager sono stati spiegati, questa mattina, dal capo della Procura di Tempio, Gregorio Capasso.
“Un caso – ha spiegato nel corso della conferenza stampa il magistrato – da codice rosso, affrontato dal team di magistrati titolari del fascicolo, i sostituti, Luciano Tarditi e Laura Bassani, con il massimo dell’impegno professionale ed umano. I quali si relazionano costantemente, come da protocollo dettato dal Csm, con i colleghi della Procura e del tribunale dei minori che proteggono il ragazzino, affidato alle amorevoli cure di un centro specializzato nel trattamento di questo genere di situazioni.

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“Un caso – ha sottolineato Gregorio Capasso – la cui efferatezza e gravità non ho mai avuto modo di affrontare negli oltre trenta anni di servizio che ho alle spalle. In questo particolare frangente, considerato che la notizia dell’arresto di una terza persona coinvolta nelle indagini è trapelata, mi premeva mettere in chiaro che gli accertamenti avviati dalla Procura e condotti dai carabinieri del reparto territoriale di Olbia vanno avanti, non sono ancora conclusi. Manca, in questa vicenda che mi ha colpito come genitore e come magistrato, un movente su cui basare le tante privazioni e vessazioni a cui è stato sottoposto il bambino. Allo stato attuale delle indagini, la terza persona avrebbe avuto un ruolo primario nell’imporre i metodi correzionali che i genitori applicavano sul bambino, sulla cui condotta e comportamento all’interno del nucleo familiare non trapela alcuna manchevolezza. Anzi il ragazzino, stando a quanto acquisito dalla testimonianze di vicini, compagni di classe, insegnanti e amici, era diligente era bravo, educato a scuola e con i conoscenti. I quali, stando a quanto emerso finora, non avrebbero avuto alcun sospetto su quanto avvenisse all’interno dell’abitazione, una villetta, dove viveva la famiglia. Dobbiamo ancora capire il motivo per il quale il bimbo veniva sottoposto a costanti minacce di finire all’inferno, vittima dei demoni, racconti che turbano la mente di ognuno e che venivano fatti ascoltare al ragazzino prima di essere segregato in una stanza buia e con soltanto un secchio nel quale espletare i bisogni corporali”.

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Che il caso fosse agghiacciante e complesso era già trapelato al momento dell’arresto dei due genitori, finiti in carcere dopo che il ragazzino, chiuso per l’ennesima volta dentro una stanza con le tapparelle chiuse mentre il padre e la madre erano andati a cena a casa di amici, era riuscito con un telefonino a chiamare il 112 dei carabinieri. Al centralinista, che aveva intuito la gravita della situazione dopo le prime parole, il ragazzino aveva chiesto soltanto di volere parlare con una zia, l’unica persona della famiglia con la quale era in confidenza e dalla quale riceveva aiuto e protezione. Grazie alla intuizione del carabiniere, che aveva dato l’allarme ai colleghi, il bimbo venne liberato e i genitori finirono in carcere. Nella tarda serata di ieri l’ennesimo colpo di scena con l’arresto di una zia del piccolo. La donna era già indagata, insieme ai genitori – che sono agli arresti domiciliari -, e per lei è scattata l’ordinanza di custodia cautelare. A chiamarla in causa sono state le risultanza peritali di alcuni cellulari dai quali traspare il ruolo della donna la quale avrebbe avuto una posizione di primo piano, con la complicità della madre del ragazzino, sui metodi correzionali e nell’infliggere le punizioni particolarmente dure al bambino. La donna è difesa dall’avvocato, Angelo Merlini.

Giampiero Cocco

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