A Cabras una passeggiata nel tempo lunga tremila anni

di Ilaria Guidantoni

Riallestimento per i Giganti di Mont’e Prama a 50 anni dalla scoperta e nuovi progetti per la città di Tharros. L’occasione è il cinquantesimo della scoperta dei cosiddetti Giganti del Mont’e Prama, il Monte della Palma – qui crescevano palme nane – lo stesso anno, il 1974, nel quale in Cina è stato ritrovato l’Esercito di Terracotta, quasi un segno di buon auspicio. La ricorrenza che cade in primavera diventa un’opportunità ghiotta per questo angolo di Sardegna, la provincia di Oristano, in particolare la Penisola del Sinis nell’area del Comune di Cabras. È questa la stagione migliore per il clima, la luce, la vegetazione tappezzante rigogliosa che sprigiona un concerto di profumi in luoghi ancora non troppo affollati. Vale un viaggio, una giornata a meno di un’ora di treno che corre lento da Cagliari a Oristano verso Macomer, unendo la bellezza della costa ed eventualmente un tuffo in mare, passeggiando nel sito archeologico di Tharros, con una sosta per gustare i sapori senza dimenticare i saperi al Tharros RistoBar – di prossima ristrutturazione che oltre la vista sul golfo offre una materia prima locale d’eccezione e tutto il sapore del luogo – e visitare il riallestimento temporaneo dei Giganti.

Partiamo proprio da queste statue imponenti, misteriose, che ci pongono più domande di quante ancora siano le risposte, la cui valorizzazione rientra nello scopo della Fondazione Mont’e Prama partecipata dal Comune locale, dalla Regione Sardegna e dal Ministero dei Beni Culturali, tutelare il patrimonio culturale, fare sistema e sviluppare la promozione del territorio realizzando un parco archeologico per offrire un’esperienza a trecento sessanta gradi per chi viene da queste parti.

Attualmente è in fase di costruzione la nuova area museale del Museo Civico Giovanni Marongiu le cui facciate racconteranno con un bassorilievo imponenti le attività tradizionali dell’isola. Il Museo, realizzato alla fine degli Anni Novanta appunto dal politico Giovanni Marongiu, nel 1997 apre come Museo del Territorio accogliendo collezioni archeologico di cui Cabras è ricca a partire dal Neolitico medio fino all’epoca romana.

Oggi il nucleo centrale dell’esposizione è appunto costituito dalla sala dei cosiddetti Giganti, musealizzati solo nel 2014, e dei modellini della costruzione del nuraghe esposti in un ambiente che gode della luce naturale con le statue rivolte alla collina dove sono state ritrovate per casi da un gruppo di contadini e che li hanno segnalati a chi di dovere.

Nati per essere esposti all’aperto nella nuova ambientazione, con i loro occhi magnetici, saranno illuminati artificialmente anche se godranno di un percorso dedicato e di maggior respiro. Le statue, attualmente 9 delle 33 complessive, sono eleganti e fiere e saranno riunite con quelle del Museo Archeologico di Cagliari nella nuova sede.

Rappresentano Pugilatori, Arcieri o Guerrieri ed è in corso un progetto non tanto per scavare e cercare altri reperti quanto per approfondirne l’origine e lo scopo della rappresentazione. A ogni gigante gli archeologi hanno dato un nome come Manneddu, in sardo grassottello, il “viaggiatore”, che è stato esposto anche a New York ed Efis, il più noto, Efisio in sardo, martire cristiano che liberò la città dalla peste e al quale è dedicata la celebre processione del primo maggio, l’icona stessa dei Giganti, un guerriero con alcuni particolari decorativi di pregio come il bracciale e le trecce dell’acconciatura, che caratterizzano queste misteriose figure.

Il lavoro di interpretazione, più che di scavo, è ben lungi dall’essere completato ed è su questo aspetto che si concentra il progetto di studio in corso. Una delle domande riguarda gli oltre 5mila frammenti che sono stati ritrovati e a proposito dei quali ci si chiede se le statue dunque siano state distrutte intenzionalmente o meno oppure lesionate dal tempo. La zona di ritrovamento è una necropoli maschile e si pensa che le opere scultoree rappresentino quegli stessi ragazzi sepolti prestanti nel fisico, dall’alimentazione sana almeno secondo quanto si ricava dalla dentatura, anche se non è chiaro esattamente lo scopo della loro realizzazione. L’attività intorno a queste opere è comunque intensa, tanto che è stato appena inaugurato un laboratorio di restauro dove ora è ricoverato uno dei Giganti, l’unico con la testa incollata al corpo. Altro progetto, ambizioso, riguarda l’intenzione della Fondazione Mont’e Prama di promuoverne la conoscenza al di fuori della Sardegna e farli viaggiare.

Altra particolarità i modellini dell’architettura nuragica, una sorta di rendering ante litteram che si cominciano a realizzare quando essa entra in crisi, tra il IX e l’VIII secolo a.C., probabilmente per tramandare la memoria e come simbolo di identità. Questo lo si è dedotto – anche se è sempre complesso parlare di certezze in questi casi – per il fatto che siano stati trovati al centro delle capanne del villaggio dove si prendevano le decisioni, qualcosa che può assomigliare alle nostre sale delle bandiere.

Il percorso museale ci consente un viaggio nel tempo nella zona a cominciare dalla sala dedicata all’isolotto Cuccuru is arrius da dove provengono molti reperti, il sito più antico. In particolare troviamo la testimonianza di due necropoli con testimonianze di sepoltura in pozzi con piccole grotte dotate di corredo funebre. I morti sono stati sepolti in posizione rannicchiata, oggi diremmo fetale, con accanto al volto o in mano la cosiddetta dea madre che in realtà non si ha certezza di cosa rappresenti e se sia effettivamente una figura femminile.

Una sala è dedicata alla città di Tharros del periodo fenicio-punico, insediamento sorto su un precedente villaggio nuragico, forse già disabitato all’epoca, e poi trasformata durante l’epoca romana. Al Museo, del vicino sito archeologico si trova l’esposizione del Tophet o Tofet, una sorta di santuario con le urne cinerarie dei bambini, pensato per essere aperto.

Una sala è dedicata poi al periodo romano che inizia nel 238 a.C. quando la Sardegna diventa Provincia Romana. Qui i lingotti di piombo provenienti da un relitto di Mal di Ventre in realtà una cattiva traduzione piemontese di Malu entu, cattivo vento, ovvero il Maestrale. Un sub negli Anni Ottanta del Novecento ne denunciò la presenza e si è risaliti al fatto che si trattasse di una nave impiegata per il commercio di piombo esercitato da due fratelli grazie all’iscrizione presente su un lingotto. Ora la nave è ancora lì perché il recupero è molto costoso e quanto è stato ritrovato è avvenuto grazie a un finanziamento del Laboratorio di Ricerca del Gran Sasso che ha preso un certo numero di lingotti per studiarli dal punto di vista fisico (dato che si è riscontrato la perdita di radioattività), impiegati anche per schermare le attività degli scienziati.

La visita può essere completata con una passeggiata nel vicino insediamento di Tharros a picco sul mare. Il nome Tharros sembra indichi il plurale di una parola che indica la roccia o la rocca anche se pare che questa denominazione risalga al periodo classico dopo quello punico quando il nome di questa città suonava più o meno così, Qardashat, in realtà la grafia è senza vocali, ovvero città o capitale nuova, di fondazione, una nuova Cartagine, sorta alla fine del VII secolo a.C. La forma urbana, irregolare che asseconda il territorio senza la struttura geometrica romana pare accreditarne la fondazione da parte dei cartaginesi, come i moduli abitativi, gli spazi e le tecniche costruttive ma anche i culti. La novità interpretativa propende nel considerare Tharros una colonia cartaginese e non un insediamento costruito dai mercanti provenienti da Tiro.

Si riconosce in particolare il Tophet, santuario urbano all’aperto con sepolture infantili e relativo corredo ceramico che data l’origine dell’insediamento nell’VIII secolo a.C., i cui tesori sono ormai nei musei come quello citato di Cabras per ragioni conservative. L’insediamento originario era nuragico ed era una zona molto popolata all’arrivo dei Cartaginesi con i quali era già in atto un’attività commerciale vivace. Sembra che l’arrivo dei nuovi abitanti sia stato pacifico anche se imposto. Le due necropoli presenti sembrano testimoniare due nuclei originari e anche un’evoluzione del tempo dalle tombe a incinerazione a quelle a camera con inumazione delle salme.

Gli ori recuperati dai corredi funebri, appartenenti a personaggi di alto lignaggio non sono in loco e nemmeno nelle vicinanze. Una parte importante è stata acquisita ad esempio dal british Museum di Londra nell’Ottocento.

Tharros è stata poi trasformata, come accennato, sul modello romano come si nota nei resti del Castellum Aquae, cisterna di raccolta delle acque e negli impianti infrastrutturali dalla Cloaca maxima, all’acquedotto e la rete idrica; finché, città portuale aperta, è diventata cristiana, sede di un Episcopato. Si riconoscono le vestigia di un fonte battesimale e di una chiesa. Dall’VIII secolo la città ha assistito a un progressivo abbandono diventando un deposito di materiale lapideo dal quale prelevare i materiali da costruzione durante il Medioevo e in Epoca moderna.

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Se dell’esistenza di questo sito si è sempre saputo è solo negli Anni Sessanta del Novecento che si è cominciato a scavare, grazie anche ai finanziamenti della Cassa del Mezzogiorno e si è raccontata la città secondo la terminologia romana anche se si tratta di un’interpretazione non propriamente filologica. Così si suppone un’area corrispondente al Forum anche se non riconducibile alla classica forma di stile romano mentre due colonne sono state ricostruite là dove si ipotizza un Capitolium, il tempio dedicato alla triade di Giove, Minerva e Giunone, una delle quali sormontata da un capitello originario in stile corinzio italico, per creare un effetto scenico. La passeggiata vale in particolare per il paesaggio e per il racconto della storia e in questo senso l’Università di Cagliari sta lavorando per migliorare anche l’accessibilità al sito, compresi i disabili. Prossimamente quindi potrebbe essere raggiungibile il tempietto K di epoca romana.

Per terminare la passeggiata si può salire alla Torre spagnola, detta la “Gagliarda”, torre di controllo costruita negli Anni Novanta del Cinquecento, presidiata fino all’Ottocento – qui vi ha soggiornato anche il Generale Lamarmora, appassionato di archeologia – dalla quale si gode una grande vista tra i due ‘mari’, la parte del mare aperto detto ‘mare vivo’ e quello al riparo dalle correnti, detto ‘mare morto’ e in lontananza anche lo stagno di Cabras, risorsa importante per la pesca e per il patrimonio ambientale all’interno di un sistema di specchi d’acqua tutelati da alcune convenzioni internazionali. Una curiosità sono i “Fassonis”, imbarcazioni per navigare nell’acqua dolce, sorta di piroghe realizzate con il fieno palustre, sulle quali si va in piedi utilizzando un solo remo e che ricordano quelle del Perù; oggi impiegate anche in regate, esposti anche al Museo di Cabras.

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