Mirko Aru, manager alberghiero giramondo: “Le Seychelles? Un pezzo di Gallura scagliato nell’Oceano Indiano”

La vittima più recente dei suoi traslochi continui è quest’intervista, rilasciata in tre riprese; causa: abbandono delle Seychelles, ultimo domicilio lavorativo nel settore alberghiero, per andare negli Emirati Arabi. Il motivo dell’ennesimo spostamento lo spiega proprio lui: «Ho bisogno di cambiare ogni due o tre anni per cercare nuovi stimoli». Giramondo per vocazione più che per necessità – è stato in Gran Bretagna, Emirati Arabi, Oman, Italia, Maldive e Seychelles – Mirko Aru racconta, senza tralasciare un particolare, la sua vita e il suo lavoro. Due percorsi che, spesso, coincidono.

Sino a qualche settimana fa era manager del Lemuria di Praslin, resort a molte stelle e altrettanti zeri di costo del soggiorno, incastonato nel paradiso vacanziero dell’oceano Indiano.

Incarico di cui va giustamente orgoglioso: «E’ una struttura a sei stelle, famosa a livello mondiale, ed estesa per 110 ettari – spiega – al cui interno ci sono, tra le altre cose, un campo da golf a 18 buche, 115 tra camere e ville e tre spiagge semi private. Il mio compito consisteva nel coordinare un team di 430 persone, garantendo anche gli approvvigionamenti di arredamenti, macchinari e attrezzature di ogni sorta in condizioni logistiche difficili».

Trentanove anni, nato a Torino da genitori sardi, diploma di perito industriale, il primo trasferimento impegnativo l’ha fatto a quindici anni per tornare in Sardegna, ad Abbasanta, assieme alla famiglia. E’ rimasto in paese sino a 21 anni, quando ha deciso di tentare la fortuna in Inghilterra. Parentesi dura ma formativa e, soprattutto, obbligata per chi aveva iniziato cinque anni prima a gettare le fondamenta del proprio futuro: «Ho mosso i primi passi nel settore della ristorazione a 16 anni, ogni estate lavoravo in una località diversa della Sardegna». Putzu Idu, Santa Teresa di Gallura, Budoni, Alghero, Orosei solo per citarne alcune, e sempre con un intento: conoscere posti e persone differenti. Nel 1994 il salto Oltremanica: «Avevo bisogno di respirare, non mi andava l’idea del posto fisso e volevo fare strada nel settore alberghiero».

Gli ostacoli, allora, si materializzarono immediatamente, con una partenza avventurosa in compagnia di un amico: «Lasciammo Abbasanta alle 5 del mattino per raggiungere l’aeroporto di Elmas ma, all’altezza di Oristano, si ruppe il motore della macchina. Per non perdere il volo scaricammo tutti i bagagli e facemmo autostop, fortunatamente riuscimmo ad avere un passaggio; la nostra tenacia fu premiata, non avremmo perso quel volo per nulla al mondo. I primi tempi furono duri, non sapevo una parola d’inglese e dovevo mantenermi, così iniziai a lavorare e, contemporaneamente, a frequentare i corsi di lingua».

A distanza di anni rivendica la bontà della decisione di emigrare, per diverse ragioni. «Stare all’estero mi ha regalato occasioni di crescita culturale, umana e professionale che, diversamente, non avrei avuto». Poi rivela un particolare: «Ogni volta che cambio nazione- generalmente ogni due o tre anni al massimo – studio prima la storia e le tradizioni così da inserirmi più velocemente nella nuova realtà». Sempre inseguendo il bisogno di novità, ha stracciato un contratto a tempo indeterminato a due passi da casa – approdo sicuro per i più – firmato con un grande gruppo italiano, attivo nel settore turistico.

Nel frullatore d’immagini, aneddoti e luoghi visitati, non c’è spazio per il rimpianto «rifarei tutto ciò che ho fatto mille volte», anche se l’ingrediente della nostalgia non si fonde mai con tutto il racconto. «Son figlio unico, avverto la mancanza della famiglia e anche del contatto con la natura della Sardegna». Isola che è sempre nei suoi pensieri, tanto che paragona le Seychelles a «un pezzo di Gallura lanciato come un sasso nell’infinità dell’oceano Indiano».

Tra le caratteristiche che più ha apprezzato della sua ultima patria lavorativa, cita il grande rispetto della popolazione verso l’ambiente: «Hanno capito il grande valore della loro terra e tramandano la cultura del rispetto ai bambini con tante attività educative». Particolare che dovrebbe farci riflettere visti i piccoli e grandi scempi che infliggiamo quotidianamente alla Sardegna che, a detta del manager abbasantese, ha tutte le carte in regola per fare del turismo una fonte primaria di benessere.

Puntando su regole semplici e istruzione di qualità: «A parer mio – afferma Mirko- occorre innanzitutto dare spazio maggiore all’iniziativa privata, semplificando le leggi che scoraggiano gli investimenti. La politica, sotto questo profilo, ha fallito. Possiamo contare su un patrimonio straordinario e anche su una cultura abbastanza diffusa dell’ospitalità. Tuttavia si deve lavorare affinché la nostra terra diventi meta di turismo diffuso e non solo per chi ha buone disponibilità economiche, guardando ad altri modelli. Maiorca, in Spagna, ha dieci volte il numero di visitatori della Sardegna eppure è molto più piccola. Inoltre bisogna scommettere su un sistema scolastico che motivi e incoraggi i giovani alla libera iniziativa».

E, proprio ai giovani, dedica una raccomandazione particolare: «Li esorto a coltivare con tenacia i sogni e a farsi guidare sempre dalla passione perché – conclude- solo così potranno raggiungere qualunque traguardo».

Giovanni Runchina

 

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