Uranio impoverito: avanti sino a fine legislatura, ma proposta legge bloccata

Per la Commissione parlamentare d’inchiesta sull’Uranio impoverito è la giornata del dolore di chi ha perso un figlio o un fratello impegnato nelle missioni militari all’estero o nei poligoni sardi. Un dolore doppio, come emerge dai lavori della Commissione. Oltre a perdere i propri cari, i parenti delle vittime denunciano, infatti, “la freddezza e l’ostilità della Difesa”, che non offre sostegno alle famiglie e nega il riconoscimento del nesso di causalità tra malattia e attività svolte in servizio. Il risultato è che, in molti casi, le cause di servizio intentate dai militari ancora in vita vengono respinte o accolte parzialmente. Oppure accade che le famiglie non vengano risarcite. Ecco perché i familiari ricorrono ai tribunali.

E c’è un’altra nota dolente. Infatti, è altamente probabile che audizioni dolorose come quella di oggi si riproporranno in futuro. Lo dice chiaramente il presidente della Commissione Gian Piero Scanu (Pd) al termine delle audizioni di oggi: “Temo che questa non sarà l’ultima commissione sull’uranio impoverito, il parlamento ha finora ritenuto non meritevole la nostra proposta di legge”. La proposta in questione è quella con cui la Commissione guidata da Scanu chiede che la sicurezza sul lavoro per i militari esca dal regime di una ‘giurisdizione domestica’ tutto interno alla Difesa e sia affidata a organi terzi e competenti come l’Inail e l’ispettorato del Lavoro.

“Ci proveremo sino alla fine della legislatura”, promette il deputato sardo. Ma il cambio di marcia sulla sicurezza dei militari e le cause di servizio sembra più lontano rispetto ai mesi scorsi. È sempre Scanu a denunciare che “la nostra proposta è impantanata da più di un anno nelle commissioni Affari Sociali e Lavoro della Camera, ostacolata da quanti, sottovalutando il problema, continuano a sostenere la posizione delle Forze Armate, da sempre ostili a qualunque controllo esterno. Il rischio è che si arrivi a fine legislatura senza approvare nuove norme in grado di tutelare la salute dei lavoratori in divisa, come invece meriterebbero”.

Ecco perché, ad esempio, il caso di Andrea Antonaci, morto 17 anni fa di linfoma non Hodgkin  dopo una missione in Kosovo, è destinato a ripresentarsi A ricordare alla Commissione d’inchiesta le dolorose tappe di questa vicenda è il padre Salvatore:“Nonostante i giudici abbiano riconosciuto in primo e secondo grado il legame tra la patologia contratta e l’uranio impoverito, la Difesa ha presentato ricorso in cassazione”. Partita ancora aperta dunque.

Non è andata meglio a Salvatore Aniello, che ha operato anche nei poligoni sardi oltre che in Kosovo e Afghanistan, deceduto nel dicembre del 2012 a causa di una leucemia acuta. Al militare, spiega il fratello Brancaleone ai commissari, è stato riconosciuta la causa di servizio, ma solo al 35%, fintanto che era in vita. Dopo la famiglia non ha più avuto nessun punto di riferimento. “Abbiamo presentato istanza tramite la caserma, ma neanche loro sanno cosa fare”, spiega Aniello. E aggiunge: “Brancoliamo nell’incertezza più assoluta”.

C’è poi il caso di Luciano Cipriani, deceduto l’8 gennaio 2016 a causa di un tumore al cervello. “Dieci giorni fa la Commissione ha stabilito che non c’è dipendenza da causa di servizio”, rivela il fratello Pierpaolo. Il maresciallo dell’aeronautica ha  partecipato alle missioni in Kosovo e Afghanistan e, spiega il fratello, “è sempre stato a contatto con  polveri nocive”. “La presenza di metalli pesanti all’interno del suo corpo è stata rilevata dalla dottoressa Maria Antonietta Gatti”, conclude Pierpaolo Cipriani.

La lista dei familiari abbandonati o osteggiati dalla Difesa sarebbe ancora lunga. E il rischio è che si allunghi ancora di più.

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