Radio Press, uccisa dall’indifferenza e dall’incapacità gestionale / Alberto Urgu

Ora che è ufficiale e a dirlo è una sentenza del Tribunale di Cagliari, mi sento quasi sollevato. Radio Press è dichiarata fallita, possiamo quasi urlarlo senza fingere che ancora ci sia qualche speranza. Non ce n’è, non ripartiremo. Ma il sollievo dura assai poco, prima che sopraggiunga la malinconia e in fondo anche la rabbia. Per come si è conclusa una stagione irripetibile dell’informazione cagliaritana, uccisa certo dalla crisi recessiva e dalla incapacità gestionale ma anche dall’indifferenza politica. Di chi, evidentemente, non considerava un valore, un’emittente privata indipendente, libera, anche di dire cose sbagliate.

Nonostante negli anni una piccola radio, semi clandestina, tenuta su con lo scotch, abbia fatto realmente servizio pubblico, cercando di raccontare la politica, la società, la cultura di una città e di una Regione, portando i propri microfoni quasi ovunque o cercando di aiutare gli ascoltatori a formarsi una opinione diversa, più articolata. Puntando tutto sull’unica cosa di cui eravamo ricchissimi, la passione. La stessa che mettevano i nostri programmisti, cercando sempre di immaginare trasmissioni diverse, con musica di qualità e idee nuove. Magari non ci siamo sempre riusciti, ma ci abbiamo sempre provato. Senza stancarci.
Ma Radio Press, per me è stata soprattutto una straordinaria esperienza umana, che non potrò mai dimenticare. Dieci anni, praticamente tutta la mia vita lavorativa, affianco a persone che non sono mai stati soltanto dei colleghi, ma dei compagni con cui ho condiviso la gioia, l’allegria e le delusioni di questa incredibile esperienza.

Sin dal 2002, quando iniziai in radio con un direttore/maestro come Angelo Porru e una capo redattrice straordinaria come Francesca Zoccheddu, che insegnavamo con l’esempio cosa volesse dire essere un giornalista. La radio era allora una vera eccezione nel panorama giornalistico, sia per dimensione sia per contenuti. Una straordinaria palestra per decine di giovani giornalisti, che arrivavano per imparare qualcosa e poi andare a cercare lavoro altrove. Tranne qualche eccezione. Come me, che sono rimasto e come Paola Pilia, che arrivo pochi anni dopo e, come me, non se n’è più andata.

I primi anni della Giunta Soru e i drastici tagli all’editoria sancirono la prima crisi strutturale della Radio, che storicamente non raccoglieva sufficiente pubblicità e viveva dei contributi pubblici e già nel 2005 sembrava vicina alla chiusura. Fu allora che ci fu un cambio di gestione societario ed editoriale che ha segnato per sempre la storia della Radio. Ricordo ancora la prima volta che mi chiamò Vito Biolchini, che io conoscevo appena, per dirmi che intendeva tornare ad occuparsi direttamente della radio, insieme a Cristiano Bandini.

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In piedi, da sinistra: Vito Biolchini, Elio Turno Arthemalle, Nicola Muscas, Cristiano Bandini, Alessandro Cabras. Seduti, da sinistra: Alberto Urgu, Paola Pilia, Claudio Biolchini e Georgia Randazzo.

E tutti insieme con l’arrivo di Nicola Muscas e Elio Turno Arthemalle e dei mitici tecnici Claudio Biolchini e Cristiano Floris, nonostante il paziente fosse clinicamente defunto, decidemmo di insistere e provare a rianimarlo. E ci riuscimmo, finché Vito non trovò un nuovo acquirente e la radio riprese a vivere. Gli anni dal 2006 al 2010 sono stati qualcosa di incredibile, con una crescita vertiginosa degli ascolti e dell’importanza della Radio, che forse perfino noi faticavamo fino in fondo a comprendere.

Cosa è stato Buongiorno Cagliari lo so chi l’ha ascoltata almeno una volta, perché davvero si aveva la sensazione che in città la ascoltassero tutti. E poi gli altri programmi come Cagliari in diretta, che ha raccontato la città come pochi secondo me sono riusciti a fare, Cagliari non è Las Vegas, Lunedì Sport, Extra, Curva Nord e tanti altri.

E poi le dirette, la nostra vera arma letale, che trasformava una minuscola radio in un network capace di arrivare quasi ovunque, anche dove gli altri non c’erano o spesso prima. La sproporzione tra i mezzi a disposizione e i risultati del nostro lavoro credo, senza esagerare, che dovrebbero essere studiati nelle scuole di giornalismo.

Fra i tanti episodi, uno in particolare mi torna in mente in queste ore. La diretta il giorno della drammatica alluvione a Capoterra e Monserrato. Un’ intera area metropolitana in tilt e centinaia di automobilisti che chiamavano e noi sempre in diretta, senza esserci preparati, a dare consigli e notizie sulla situazione delle strade e sulle condizioni meteo.

Vito ha scritto nel suo blog che nessuno ce lo riconoscerà e forse è così, ma io vedo dalle continue e commoventi testimonianze di solidarietà, che il nostro lavoro e la nostra passione non sono stati sprecati. O almeno mi piace pensarlo.

Gli ultimi anni della Radio sono stati i più difficili, io sono andato via nel 2011 per tentare un’altra avventura e sono tornato l’anno dopo, riaccolto come sempre a braccia aperte.

Abbiamo tentato un ultimo salvataggio, provando ad andare avanti nonostante tutto, senza investimenti, con ritardi incredibili negli stipendi. Senza più Vito ed Elio, ma con giovani bravissimi e motivati come Monica Magro e Lorenzo Manunza. Non è bastato, ci siamo arresi.

Radio Press è morta ed è giusto piangerla. Non mi piacciono gli amarcord e non mi sento un reduce. Vorrei solo che l’esperienza di Radio Press servisse da monito, perché la dissipazione di quel capitale umano e professionale è una colpa grave, quasi imperdonabile.

Alberto Urgu

 

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