Omicidi di Orune e Nule, per Pinna confermata condanna a 20 anni

La Corte d’appello di Sassari ha confermato la condanna a 20 anni di reclusione già inflitta lo scorso aprile dal Tribunale dei minori a Paolo Enrico Pinna, 21 anni, di Nule, ritenuto il responsabile degli omicidi di Gianluca Monni, lo studente di 19 anni freddato a Orune la mattina dell’8 maggio 2015, mentre aspettava l’autobus per andare a scuola, e di Stefano Masala, il compaesano di Pinna di cui non si ha più notizia dalla sera prima della morte di Monni. Il procuratore generale Paolo De Falco e gli avvocati difensori Agostinangelo Marras, hanno ribadito le proprie tesi, contrapposte, di fronte alla Corte presieduta dalla giudice Maria Teresa Spanu, a latere Marcello Giacalone e Cristina Fois. L’hanno fatto nel silenzio di un’aula quasi deserta: l’udienza si è celebrata a porte chiuse, con misure di sicurezza eccezionali. Sono stati ammessi in aula solo i parenti dell’imputato e delle vittime, che prima dell’ingresso sono stati controllati scrupolosamente con il metal detector.

Commosso il commento di Marco Masala, il padre di Stefano. “Io vado tutti i giorni sulla tomba di mia moglie e ogni giorno le dico che non c’è niente di nuovo, che non lo abbiamo ancora trovato, vorrei andare anche sulla tomba di Stefano e parlare con lui”, ha detto l’uomo che non ha mai rinunciato a chiedere di poter riavere suo figlio. E anche oggi, dopo aver assistito alla lettura della sentenza, è uscito dall’aula gridando: “Manca Stefano, ci manca Stefano”. L’avvocato sassarese dell’imputato, Agostinangelo Marras, ha annunciato il ricorso in Cassazione. Sotto processo in corte d’assise a Nuoro per il duplice omicidio c’è il presunto complice di Pinna, il cugino Alberto Cubeddu, 22 anni, di Ozieri.

Quel terribile 8 maggio del 2015, Gianluca Monni fu ucciso a Orune con tre fucilate nella via principale del paese mentre aspettava il pullman per andare a scuola. Stefano Masala, invece, la cui auto secondo gli inquirenti è stata usata dai killer per l’omicidio e trovata poi bruciata nelle campagne di Pattada, sarebbe stato ucciso perché nessuno potesse raccontare la verità. Secondo l’accusa, Masala, di cui non è stato mai trovato il corpo, sarebbe stato ucciso da Pinna la sera del 7 maggio. Il giovane di Nule aveva bisogno di un’auto e non avrebbe esitato ad uccidere il compaesano per servirsi della sua Opel e far ricadere la colpa su di lui. Diversa la tesi della difesa. Secondo quest’ultima, Stefano Masala avrebbe partecipato all’omicidio di Gianluca Monni l’8 maggio e dunque non sarebbe stato ucciso da Pinna la sera del 7. Il movente del duplice fatto di sangue è da ricercare, secondo gli inquirenti, in una festa a Orune, durante Cortes Apertas, del dicembre 2014, culminata in una rissa tra Monni e Pinna, perché quest’ultimo aveva importunato la fidanzata dello studente.

Dopo aver puntato una pistola in faccia a Monni, Pinna venne disarmato e malmenato dagli amici di Gianluca, accorsi in suo aiuto. Pinna quella sera era in compagnia di Masala. La situazione si calmò per alcuni mesi, fino al 20 aprile 2015, giorno in cui venne postata in una chat di WhatsApp la poesia di un poeta estemporaneo di Orune che Pinna, erroneamente, interpretò come un ulteriore affronto in relazione a quanto gli era successo nel precedente mese di dicembre. Da quel momento – dicono gli inquirenti – Pinna iniziò a pianificare le modalità esecutive e logistiche che gli consentissero la perfetta riuscita dell’azione criminale, attraverso sotterfugi che gli permettessero altresì di avere garantita l’impunità. (Ansa)

(foto Ansa/Massimo Locci)

 

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