Dna dei sardi, lo studio: “I primi abitanti erano geneticamente diversi da noi”

Tra i primi frequentatori della Sardegna di circa 11mila anni fa e gli artefici del suo stabile e definitivo popolamento, avvenuto circa tremila anni più tardi con l’arrivo dei primi migranti coloni agricoltori-allevatori, c’è una netta discontinuità. È quanto riportato in uno studio sui dati archeogenetici pubblicato sulla rivista Scientific Reports (gruppo Nature). L’importante scoperta deriva dalle analisi sul Dna estratto dai resti di due individui sepolti nel riparo preistorico di Su Carroppu di Sirai a Carbonia. Resti che rappresentano la più antica prova diretta della presenza umana nell’Isola. Lo studio nasce dagli sviluppi del progetto di ricerca finanziato dalla Regione sulla storia del primo popolamento neolitico della Sardegna (VI-V millennio a.C.): origine e processi evolutivi alla luce dei dati archeologici ed archeogenetici, coordinato dal docente di Preistoria e protostoria del Dipartimento di Storia dell’Ateneo di Cagliari, Carlo Lugliè.

L’analisi e l’interpretazione archeogenetica dei reperti sono state eseguite sotto il coordinamento del prof. David Caramelli, dell’Università di Firenze, e della dottoressa Silvia Ghirotto, del gruppo di ricerca di Guido Barbujani dell’Università di Ferrara, mediante l’applicazione delle più attuali e avanzate tecnologie per la caratterizzazione del Dna mitocondriale. Le sequenze genetiche ottenute sono state confrontate con dati antichi e moderni: esse hanno rivelato che la variabilità genetica della popolazione attuale dell’Isola è assai distante da quella dei primi uomini che l’hanno frequentata e sembra essere stata in gran parte determinata dal flusso migratorio di popolazioni che hanno introdotto l’economia produttiva a partire dal più antico Neolitico. Le sequenze mesolitiche dei campioni di Su Carroppu, infatti, appartengono ai gruppi denominati J2b1 e I3, la cui attuale attestazione in Europa registra frequenze basse (J, 16%) o molto basse (I, 3%). Contrariamente, in essi non è stato evidenziato il gruppo U, assai più comune (oltre l’80%) tra gli individui mesolitici finora studiati in Europa.

 

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