Appello delle lesbiche sarde: “Basta con l’omofobia di Stato”

Omosessualità femminile e diritti negati. Intervista a Viola Cossu di Arc, associazione LGBTQ (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer).

Viola Cossu è la prima segretaria e attivista di Arc Cagliari, associazione del mondo LGBTQ (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender e Queer). L’Arc ha organizzato in città una cinque giorni sull’omosessualità femminile, cominciata ieri al Babeuf di via Giardini. “Intanto – spiega la Cossu, 30 anni, sassarese, un lavoro nella Formazione professionale – dobbiamo dire basta all’omofobia di Stato”.

Le lesbiche si raccontano: è questo il titolo che avete scelto per la vostra rassegna. Di cosa parlerete?

Esploreremo gli ambiti più differenti: dalla quotidianità alla socialità. Ieri abbiamo cominciato a farlo col fumetto. Perché l’arte, nelle sue diverse forme, è un potentissimo veicolatore di verità. La rappresentazione delle lesbiche deve venire fuori: noi siamo invisibili ai più. Anche quando si parla di omosessualità, quasi sempre ci si concentra su quella maschile. In questa cinque giorni cagliaritana il “Chi siamo” è il punto di partenza.

Chi siete?

Persone a cui sono negati i diritti più semplici. Noi siamo discriminate due volte: in quanto donne, in una società che non garantisce affatto la parità tra sessi, e in quanto lesbiche.

Elenchiamoli questi diritti.

Non esistendo un riconoscimento delle coppie omosessuali, non abbiamo diritto alla casa, alla reversibilità della pensione, al matrimonio. Ecco, questa è omofobia di Stato e bisogna dire basta.

Serve a qualcosa l’iscrizione sul Registro civile nelle anagrafi comunali?

Il valore è solo simbolico. Ma di enorme importanza in un Paese come l’Italia che è davvero fanalino di coda in fatto di civiltà. Insieme alla Grecia, siamo il solo Stato europeo che ancora non permette il matrimonio tra omosessuali.

Che spiegazione vi date?

In Italia c’è ancora tanta disinformazione e molta omofobia che si aggiungono a una complicità tra Chiesa e partiti. O tra chi, in generale, ha il potere di prendere decisioni politiche o di influenzarle. Più o meno tutti i partiti hanno utilizzato, in sede di campagna elettorale, i diritti delle persone omosessuali. Oggi auspichiamo che chi è al Governo, rispetti le promesse fatte.

I pantheon dei politici, perfino quelli di sinistra, sono pieni di teologi.

In Italia non è mai esistito un Governo vicino al mondo Lgbt.

Il premier Matteo Renzi ha promesso un pacchetto normativo sui diritti civili.

L’approvazione del decreto procede un po’ a rilento, al momento è in discussione in Senato (oggi, tra le polemiche, il testo Cirinnà ha ottenuto il primo via libera in commissione Giustizia). Restiamo in attesa.

Di matrimonio, in ogni caso, neanche a parlarne.

Purtroppo lo sappiamo. Ma se il riconoscimento come coppia di fatto ci garantisse i diritti minimi, sarebbe un enorme passo avanti. E mi riferisco anche all’autorizzazione di un intervento medico urgente per il partner o alla richiesta dei permessi di lavoro per motivi familiari, in caso di malattia.

Dal decreto Renzi resterebbero fuori pure le adozioni.

Il discorso sulle adozioni è ancora più complesso. Quando si tratta di bambini, chiunque pensa di poter dire la sua e chi è al Governo non ha il coraggio di affrontare la questione. Noi non demordiamo, un passo alla volta.

Ha parlato di omofobia di Stato. Esiste anche una omofobia vaticana?

Dal Vaticano è un costante rimando al modello della famiglia tradizionale. Ma se fosse vero che i bambini, per essere felici, hanno bisogno di un padre e di una madre, vivremmo in un mondo di problematici, considerando gli orfani, i figli dei divorziati o quanti crescono coi nonni. Ciò che ci fortifica, è l’amore che si riceve, a prescindere da chi quell’amore lo dà insieme all’affetto e all’educazione. E mi sento di dire che quest’ultima, in Italia, fa difetto.

Il decreto Renzi non contempla nemmeno il diritto alla maternità.

Esatto, vale quanto detto per le adozioni.

Chi è il primo nemico delle lesbiche?

L’invisibilità. Noi, al massimo, veniamo percepite dagli uomini come oggetti sessuali.

La avvertite questa attenzione?

Le battute sono all’ordine del giorno. I maschi sono molto interessati a sapere come facciamo noi l’amore. E desidererebbero partecipare al nostro sesso. Ma fuori da questo perimetro, per la maggior parte delle persone non esistiamo come cittadine che hanno gli stessi diritti di una coppia etero. Essere percepite sessualmente non è un salvacondotto contro l’omofobia.

La Sardegna è una regione tollerante?

Gli attacchi omofobi sono per fortuna una rarità. Io, comunque, provo fastidio per la parola tolleranza. Il cammino culturale da fare è la totale accettazione del prossimo.

La società di persone.

Io sogno quel momento. Sogno un mondo nel quale non esista nessuna discriminazione in cui le differenze siano valori non qualcosa di cui avere pausa.

Il problema è che nelle scuole si parla di affettività ma non di sessualità.

Alle elementari e alle medie è pressoché impossibile farlo. E quando succede si grida allo scandalo. Sostengono che si sta educando all’omosessualità.

Se per quello alcuni la considerano ancora una malattia.

Un abominio. Nasce così l’omofobia: hanno paura che sovvertiamo l’ordine sociale. Bisognerebbe partire dalla base.

Chi è la base?

I bambini, gli adulti di domani. Solo così si può superare l’arretratezza culturale.

Magari agli adulti andrebbe spiegato che l’omosessualità è un gusto, mentre il rispetto dell’altro è civiltà, è educazione.

Per questo nella nostra rassegna raccontiamo anche come ci siamo scoperte omosessuali.

Nel suo caso?

A me è successo intorno ai 20 anni: mi sono innamorata di una donna.

Prima ha avuto relazioni etero?

Sì, sono stata per due anni con un ragazzo che ora è gay.

C’è un’età in cui l’omosessualità si scopre.

Più spesso accade nell’adolescenza. Ma lo si nega a se stessi, proprio perché non si ha un mondo di riferimento.

È faticosa dirlo alla propria famiglia?

A volte le famiglie ufficialmente non lo sanno mai. Ma lo capiscono, anche se non se ne parla troppo.

Ci tenete molto a dire la differenza tra coming out e outing.

Sì, perché qui entrano in gioco le alleanze sociali. Il coming out è quando l’omosessuale si dichiara in modo autonomo. L’outing è quando qualcuno lo dice al suo post. La Rete, in questo, è un mezzo chiave di comunicazione e informazione, e va sfruttato.

A proposito di social, gli eterosessuali sconsigliano il matrimonio a tutti.

Hanno questa posizione perché loro possono scegliere di non sposarsi. Noi no: a noi lo proibisce lo Stato.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

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Le lesbiche si raccontano: dal lessico al dress code. Dalle butch alle lipstick

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