Cagliari, operazione antibracconaggio: trovata agenda coi nomi dei ristoratori

Una lista nera coi nomi dei ristoranti e di clienti “speciali” è stata ritrovata dagli uomini della Forestale durante un’operazione anti bracconaggio nel cagliaritano. Come riporta oggi L’Unione Sarda, a finire nei guai è stato Raffaele Curreli, 31 enne, pescatore subacqueo, più volte bloccato con pesci pregiati e selvaggina.  Un documento che conferma quanto il bracconaggio (di mare e di terra) fiorisce anche per colpa di ristoratori che non disdegnano di acquistare prodotto illegale.

Nell’abitazione di Curreli, la Forestale ha trovato, oltre all’agenda (con nomi, indirizzi, dati riferiti a dicembre, gennaio e febbraio), anche tranci di cervo e un’anfora di epoca romana “pescata” durante un’immersione. Ma Curreli non agiva da solo, è stato intercettato insieme ad altre due persone, Jonathan Pecorella di 31anni e Marco Marongiu di 27, entrambi di Capoterra.

Nel gruppo, che operava anche all’interno del Parco regionale di Gutturu Mannu, erano presenti altri tre bracconieri: Alessandro Marras, operaio capoterrese di 32 anni, Sandro Mura di 46 anni, anche lui operaio, e il pulese Davide Pretta di 45. La Forestale, durante le perquisizioni eseguite nelle abitazioni e in alcuni negozi a Cagliari e Quartu, ha sequestrato parti di cervo macellato, 9 cinghiali, tre tartarughe di specie protetta, 4500 lacci per uccellagione, 170 reti e 870 lacci per la cattura di cervi e cinghiali.

E sulla pratica di servire sotto banco carni o pesci di frodo, abbiamo chiesto un commento a Marino Cogoni, da trenta anni titolare del ristorante cagliaritano St. Remy. “Si tratta di una richiesta oramai sempre più desueta, almeno tra i miei commensali. Ci sono voluti anni per educare la clientela a un certo tipo di cultura del cibo, ma fortunatamente oggi nessuno penserebbe più di chiedermi un piatto di datteri di mare, o carne di cervo. Ciò che non compero per me, automaticamente non lo propongo al ristorante. Trovo si tratti di un’usanza che negli anni si è mantenuta radicata nel tessuto sociale cagliaritano, ma che oggi sta pian piano scomparendo”.

Non solo una questione di leggi e sanzioni dunque, ma un discorso alimentare culturale ben preciso: “Offrire quel tipo di cacciagione non porta ricchezza -conclude Marino- non aumenta il prestigio del locale, al contrario, è una dimostrazione di scarsa civiltà. Un’azione culturale che deve essere contrastata in  particolare da noi addetti ai lavori. Il cliente va educato al gusto e alla scelta degli alimenti, solo così si potrà sconfiggere questa usanza barbarica”.

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